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La scheda di Nils Liedholm

Liedholm
Nils Liedholm


Nato a: Valdemarsvik (SVE)
Il: 08.10.1922
Scomparso: Cuccaro(AL - IT)
Il: 05.11.2007
Nazionalità: svedese
Ruolo: Allenatore
Palmares: 2 scudetti (Milan 1978-79, Roma 1982-83), 3 Coppe Italia (Roma 1979-80, 1980-81, 1983-84), 2 promozioni in A (Hellas Verona 1967-68, Varese 1969-70)
Debutto da allenatore: Milan

Nils Liedholm non è stato solo un grande allenatore, prima di tutto infatti lo svedese è stato un centrocampista di classe purissima. Il selezionatore della Svezia vincitrice alle Olimpiadi 1948, Rudolf Kock, di lui disse: «Una squadra di undici Liedholm sarebbe imbattibile». Ma anche Liddas era convinto della sua bravura tanto da arrivare a dichiarare: «Una volta ebbi un applauso lungo cinque minuti, a San Siro: avevo sbagliato un passaggio dopo anni. La mia prima stecca nella Scala del calcio. Era tale la novità che mi applaudirono tutti».

Lasciò il calcio giocato controvoglia: «Ho retto comodamente fino al 1961» raccontava, «quando avevo ormai 39 anni e dovevo iscrivermi al corso allenatori, altrimenti non me l'avrebbero fatto più frequentare. Il presidente del Milan non voleva: diceva che c'erano tanti giocatori e occorreva una balia. La verità era un'altra: correvo ancora più di tutti». Ma non era solo la corsa a nobilitare il Liedholm calciatore, la capacità di palleggio e di controllo della palla del svedese infatti era assolutamente fuori dal comune. Se doveva aiutare un campione a raddrizzare un fondamentale, gli bastava chiamare il pallone ed addomesticarlo con uno sguardo dei piedi per fare silenzio attorno. Nils Liedholm, dei tanti grandi allenatori «italiani», ha riassunto tutti gli ingredienti di segno positivo. Ha vinto nelle metropoli ma anche in B; ha allevato giovani, ma pure valorizzato anziani; è stato grande difensivista e nel contempo audace sperimentatore tattico. Ha saputo monetizzare al massimo il fiuto del talent scout e le qualità di mago della panchina; è riuscito quasi sempre a scivolare via dagli ambienti prima di guastarsi l'immagine; è stato uomo di campo ma anche di pubbliche relazioni. In altre parole, ha sempre venduto benissimo un prodotto di alta qualità.

Come detto, fu il 1961 a dare a Liedholm, soprannominato il Barone, l'inizio della nuova carriera di mister. Comiciò con un doppio ruolo, allenatore delle giovanili e vice-allenatore della prima squadra. E fu subito successo. Con il mitico «Parun» (Nereo Rocco) infatti Nils e la squadra conquistarono Scudetto (1961/62) e Coppa Campioni (1962/63). L'anno successivo il partente Rocco, venne rimpiazzato da Carniglia. Il nuovo tecnico tuttavia resistette ben poco alle pressioni del presidente Viani, che dopo poche giornate decise di «fargli le scarpe» sostituendolo con Liedholm. Lo svedese se la cava bene e traghetta il Milan ad un buon terzo posto dietro le duellanti Inter e Bologna. L'anno successivo Nils fa ancora meglio. Nonostante l'assenza di Altafini, la sua squadra, trascinata da Ferrario ed Amarildo, fila in vetta con il vento i poppa, poi il ritorno del reprobo in gennaio dal Brasile e il memorabile sprint dell'Inter inceneriscono uno scudetto già vinto. Nel 1965 rinnova la sfida alla Grande Inter, ma quando la volata finale comincia, Liddas viene spazzato via da un'epatite virale, mentre il club passa di mano da Felice Riva a Luigi Carraro. Insomma, si ritrova a piedi, e qui comincia la gavetta del Barone, ritrovatosi per giunta spiantato, avendogli il fratello di un dirigente del Miln bruciato i cento milioni di risparmi incautamente dati in gestione.

La prima tappa è Verona, ultimo in classifica e senza speranza. Un po' per farsi coraggio, un po' per lungimiranza, Liedholm accetta, chiedendo però 10 milioni di premio promozione, accordati a cuor leggero in quanto virtuali. Invece compie il miracolo: salva il Verona e l'anno dopo a sorpresa lo porta in A dopo un drammatico quanto esaltante testa a testa con il Bari. Il diffidente Garonzi, però, a metà stagione si è cautelato ingaggiando un nuovo allenatore, Giancarlo Cadè. Liddas consiglia a Garonzi di rispettare l'impegno e se ne va, di nuovo disoccupato.

Il secondo capezzale è del Monza, Serie B molto stropicciata. Nuova salvezza «impossibile», che il Barone considererà sempre «l'impresa più grande della carriera». Poi Varese, con pronta promozione in A e salvezza tranquilla l'anno successivo. Quindi la Fiorentina che gli affida una squadra giovane ed un progetto ambizioso. Le cose non vanno male, in due stagioni arrivano un sesto ed un quarto posto, ma Nils non riesce a costruire un buon rapporto con la tifoseria che a forza di contestarlo («Se avevo vinto 3-0, la gente mi chiedeva come mai non avessi vinto 4 o 5 a 0») lo convincono ad andarsene. Fraizzoli lo vuole all'Inter, ma il comitato dei «cento fedelissimi» pone il veto a causa del suo passato milanista, dando via all'incauto revival di Helenio Herrera. Nessun problema. Bastano sei settimane di campionato e si fa vivo Anzalone, presidente della Roma, quart'ultima. Liddas arriva, inciampa all'Olimpico nel Napoli e nel derby, finisce all'ultimo posto e mentre fioriscono i necrologi getta le basi per la rinascita. La Roma colleziona 25 punti in 22 partite, chiude all'ottavo posto e regala a Liedholm il soprannome di «Mago». Comincia a far giocare la squadra a zona e sembra uno dei tanti donchisciotte destinati a naufragare tra le ironie, ma l'anno dopo porta i giallorossi al terzo posto. Quando arriva al Milan, nel 1977, è maturo per i grandi traguardi. Ha ormai un solido impianto tattico e pure un prezioso alleato.

Si tratta di un mago, un mago vero. Liddas ha un debole per l'astrologia, attribuisce parte del proprio successo nel calcio al segno della Bilancia, di cui ha condiviso l'egida con gente come Pelè, Falcao, Nordhal, Sivori, Didì, Piola, Paolo Rossi, Bobby Charlton. Quando gli consigliano un giocatore, la sbirciata al segno zodiacale equivale ad un provino con il pallone tra i piedi. Un giorno il suo «consulente specifico» uscirà allo scoperto. Si chiama Mario Maggi, il «mago di Busto Arsizio», e racconta così la genesi del sodalizio: «Fu Santarini a presentarmi Liedholm. Dissi al Barone tutte le sue malattie e da quel giorno si fidò pienamente di me. In seguito gli anticipai i risultati delle partite, finchè mi disse: Non darmi più i risultati, sono stanco di dormire sempre in panchina sapendo già come va a finire». La bravura del doppio mago diventa leggenda a Milano.

Il Barone esalta i giocatori più improbabili con paragoni iperbolici: se a Roma il giovane Persiani ingaggiato dal San Lazzaro a peso d'oro è il «nuovo Antognoni», nel Milan l'aletta Tosetto diventa «il Keegan della Brianza» e il filiforme Mandressi «il Resenbrik rossonero». Quando si va in campo però non ce n'è per nessuno. Il Barone piazza un modestissimo Milan al quarto posto e l'anno dopo realizza il capolavoro. Tra i baby scova Franz Baresi e lo fa titolare nonostante i diciotto anni, poi celebra sontuose nozze a base di fichi secchi (o quasi). Ha due mezzepunte che dovrebbero pestarsi i piedi, Novellino ed Antonelli, ha gli ultimi fuochi dei vegliardi Rivera e Capello, ha un attaccante di movimento, Bigon ed un'unica punta, l'ex-bolognese Chiodi, che la mette dentro solo su rigore. Eppure crea una macchina che vola sulle crisi altrui e vince lo scudetto. Tatticamente è un fenomeno difficilmente spiegabile, se non con l'abbondanza di piedi buoni e quei tourbillon a passo di danza che stanno diventando il marchio di fabbrica del tecnico svedese. A fine stagione, chiede al Milan un triennale che lo scorti fino alla pensione ma il presidente Colombo si impunta offrendogli solo un anno. Il Barone sbatte la porta e se ne va a Roma. Convince il presidente Viola ad acquistare Romeo Benetti, pensionato dalla Juve, e imbocca la strada della zona schierando due liberi, Santarini e Turone. La Roma gira, anche se non incanta: disegna sul campo una ragnatela di passaggi orizzontali in cui il gioco avversario sovente si invischia.

Mentre il Milan ha infilato le forche caudine della retrocessione per lo scandalo scommesse, Liedholm apparecchia il domani con coraggioso acume. Le frontiere riaprono, Viola, sfuggita la preda Zico, ripiega sullo sconosciuto Falcao e a chi contesta il Barone replica serafico: è un fenomeno. Lo prendono per il solito inguaribile bugiardo, poi la squadra comincia a girare e si accorgono tutti del contributo del vellutato regista brasiliano. La Roma si piazza seconda e l'anno dopo strappa lo scudetto alla Juve con un nuovo teorico assurdo tattico. Pur avendo già Falcao, Liddas prende anche Prohaska, la lumaca dell'Inter, e arresta a centrale difensivo l'altro regista via col lento, Ago Di Bartolomei. A completare il centrocampo i guizzi di Bruno Conti e le accelerazioni di Ancelotti. La Roma straccia la Juve di Platini e Rossi (nell'82/83) e l'anno dopo manca la Coppa Campioni solo perché il divin Falcao, acciaccato ed impelagato nella guerra del contratto si nega alla lotteria finale dei rigori.

Finito il ciclo con la Roma Liedholm ritorna in estate al Milan, dove gestisce con gran dignità le effervescenze dell'era Farina e il non facile passaggio a Berlusconi quando già le sorti del club stanno sfiorando i tribunali fallimentari. Il Cavaliere lo lascia al timone, per poi esonerarlo a fine stagione 1986/87, rifilandogli in pratica il primo siluro della carriera: l'anno dopo arriverà Sacchi, che sul terreno ampiamente dissodato costruirà la grande rinascita. La Roma ha ancora le braccia aperte, Liedholm torna da Viola mentre i colori del giorno si incupiscono di tramonto. L'artiglio del vecchio Barone mette a segno un terzo posto con Voller e Boniek, ma l'anno dopo la schiena della fortuna gli oppone gli estri e gli astri malvagi di Renato Portaluppi, gran dribblatore sulla fascia e nelle alcove e la barca rischia di affondare. Viene silurato dopo 18 giornate, salvo richiamo d'urgenza un mese dopo. La Roma finisce settima e il Barone leva il disturbo, tornando ai suoi pregiati vigneti in Piemonte.

Sembra essere il ritiro definitivo. Due stagioni e mezzo dopo invece il colpo di scena: Liddas ritorna a calcare i campi e lo fa nella maniera più difficile: accettando la proposta di salvare una squadra, il Verona, con un piede e mezzo in B. Questa volta l'impresa non gli riesce e anzi il rendimento della squadra sotto la sua stagione peggiora. Dopo il promettente debutto (1 a 0 al Parma) infatti, il tecnico svedese, affiancato da Mario Corso, collezionò la miseria di 2 punti in 8 partite, facendo precipitare l'Hellas ad un triste 17° posto. Una fine ingloriosa per una carriera luminosa come la sua, che però non turba l'inossidabile aplomb del vecchio signore, che in silenzio esce di scena.


Carriera in Campionato:
Stagione Squadra Serie Piazzamento Successi
1961-62 Milan A (in 2°) Scudetto
1962-63 Milan A (in 2°) Coppa Campioni
1963-64 Milan A Sub. 3 -
1964-65 Milan A 2 -
1965-66 Milan A Sost. -
1966-67 Hellas Verona B Sub. 12 -
1967-68 Hellas Verona B 2 Promozione
1968-69 Monza B Sub. 11 -
1969-70 Varese B 1 Promozione
1970-71 Varese A 8 -
1971-72 Fiorentina A 6 -
1972-73 Fiorentina A 4 -
1973-74 Roma A Sub. 8 -
1974-75 Roma A 3 -
1975-76 Roma A 10 -
1976-77 Roma A 8 -
1977-78 Milan A 4 -
1978-79 Milan A 1 Scudetto
1979-80 Roma A 7 Coppa Italia
1980-81 Roma A 2 Coppa Italia
1981-82 Roma A 3 -
1982-83 Roma A 1 Scudetto
1983-84 Roma A 2 Coppa Italia
1984-85 Milan A 5 -
1985-86 Roma A 5 -
1986-87 Milan A Sost. -
1987-88 Roma A 3 -
1988-89 Roma A Sost. Sub. 7 -
1989-90 Inattivo - - -
1990-91 Inattivo - - -
1991-92 Hellas Verona A Sub. 16 Retrocessione



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