Nato a: Verona
Il: 18.06.1940
Nazionalità: italiana
Altezza: --- cm
Peso: -- kg
Ruolo: Centrocampista
Club Scuola: Verona
Da L'Arena del 15 gennaio 2015:
La palla era lì, se l'era incollata al piede, il sinistro, ovvio. L'idea era quella di un cross, uno dei suoi, di quelli morbidi, in mezzo all'area, più o meno sul secondo palo. Traiettoria arcuata, leggermente tagliata, quelle palle che spiovono giuste oltre la testa del difensore, lì dove dovresti trovare quella di Maschietto, oppure quella di Golin. Giorgio Majoli pensava questo, mentre avanzava, la palla accarezzata dal sinistro, circondato da maglie bianconere. «Siamo 0-0» pensò tra sé. «0-0 al novantesimo con la Juve, adesso si va ai supplementari». Oddio, non era la Juve titolare, però ci assomigliava molto. Dentro, aveva alcune riserve, Caocci e Fochesato, Rossi e Siciliano. Ma c'erano anche Emoli e Salvadore, Leoncini e Del Sol. E poi c'era lui, Omar Sivori. «Già, un mito». Lo avevano fatto giocare, el cabezon, «perché bastava lui per battere il Verona», almeno questa era l'intenzione.
Omar Sivori col 10, «per noi è questo il premio partita più bello, il risultato sembrava scontato» pensavano i ragazzi gialloblù. Così, la formazione era un mix di titolari e riserve, giovani e anziani, con la sorpresa del portiere, annunciato all'ultimissimo momento. Non senza il gusto amaro della polemica. «Ma sì» raccontò un giorno Giorgio Bissoli, il rosso di San Martino. «Dovevo giocare io, invece Facchini mandò in campo Ciceri. Scappai dagli spogliatoi, mi consolò Boniperti, in tribuna. Ti rifarai, ragazzo, mi disse. Aveva ragione, ma che rabbia...» Davanti a Santino Ciceri, c'erano Basiliani a destra e il giovane Verdi a sinistra. La linea mediana era composta da Cera, il centromediano era l'esperto Zannier, il laterale sinistro un altro ragazzo, Ciocchetti. L'attacco, da destra, Maschietto, poi la mezzala Savoia, Golin schierato col 9, il 10 a Majoli e l'11 al piccolo Bonatti. A riposo erano rimasti pezzi da novanta come il bomber Ciccolo, Pacco, Fantini, l'altro vecchio Fassetta, Pirovano. «Tanto, quello che viene, viene. L'importante è uscire a testa alta» pensavano tutti.
Lo stesso viaggio da Verona a Torino era stato qualcosa di speciale. Perché quella non era una partita come tante, era «la partita». Quella che uno immagina da sempre, «noi con la Juve», tu che te la vedi con Sivori, magari gli togli pure il pallone, «però sta' attento alle gambe, chè se quello ha la luna giusta ti piazza un tunnel e buonasera». Facchini, il mister, l'aveva dato in consegna un po' a tutti, lì in mezzo. L'avesse fatta oggi, la chiamerebbero gabbia, allora non era così. «Ohè» aveva detto ai suoi ragazzi. «Uno come lui non possiamo marcarlo da soli. Bisogna aiutarsi, chiuderlo, impedirgli di prendere la palla, proviamo a limitarlo, vediamo come va». Non andò male. «Sivori aveva l'aria un po' svogliata, si divertiva in dribbling, dava l'idea di poterli far fuori tutti, se solo lo avesse voluto. Ma non giocava con grande impegno. L'aria di Coppa non gli procurava grandi brividi. Ma era pur sempre Sivori».
La Juve aveva preso l'impegno alla leggera, «tanto, prima o poi un gol lo facciamo». Ma non aveva fatto i conti con Ciceri. Né con il cuore dei suoi compagni. Era gente che viveva un sogno e non voleva che questo sogno finisse male. «Però, niente male questo Verona» dicevano i tifosi della Juve. Il Verona aveva fatto il suo. Con orgoglio, dignità, umiltà. S'era difeso con autorità, niente catenaccio. E quando poteva, s'era mosso anche per colpire. Golin e Bonatti, assieme a Maschietto avevano tenuto sveglio Mattrel. «Certo, adesso c'erano i supplementari» pensava tra sé Giorgio Majoli. Sinistro divino. Aveva incantato, come sanno fare solo i mancini nelle giornate di grazia. «È il Sivori del Verona» aveva detto qualcuno. Giorgio Majoli e la palla del destino. Avanzava, in quell'ultimo minuto, con l'idea fissa di non sprecare quell'ultimo giro di roulette. Se va, se si ferma sul numero giusto, magari ci sta qualche volta che sbanchi al casinò. Cambiò idea. «Provo il tiro...». Oh, sia chiaro, furono attimi, gli attimi dei giocatori di classe, abituati a ragionare in una frazione, a seguire l'istinto. A decidere. Giorgio Majoli, detto Penel, perché aveva un sinistro che dipingeva, cambiò improvvisamente idea. «Provo il tiro, pensai. Eravamo più o meno a venti metri dalla porta, c'era lo spazio per farlo, i compagni erano marcati». La palla gli rimbalzò appena lì davanti, ma fu nell'attimo giusto. Lui caricò il sinistro e si fermò a guardare. Una frazione di secondo. Capì che stava succedendo qualcosa. Guardavano tutti, guardò anche Mattrel. «La palla finì giusta all'incrocio dei pali». Poi non sentì più niente. Neanche il fischio finale, sommerso com'era da un grappolo gialloblu. Le foto di quel giorno parlano da sole. Majoli e Savoia, Maschietto, Sivori e Savoia, Majoli e Verdi. C'è negli occhi di tutti un sorriso senza tempo e senza età.
HELLASTORY.net è online dall'11 maggio 2001
( 8627 giorni)
Ogni contenuto è liberamente riproducibile con l'obbligo di citare la fonte. Per qualunque informazione contattateci.
Leggi la nostra Informativa Privacy.
[hellastory.net] - {ts '2024-12-22 05:45:04'} - {ts '2024-12-22 12:45:04'} [browser]