LA CURVA SUD E LE BRIGATE GIALLOBLU | |||||
LE BRIGATE GIALLOBLU E LA CURVA SUD DAL 1971 AL 1982 - Prima parte Ecco il racconto dei primi passi delle Brigate Gialloblu, dalla voce di Moreno, uno dei fondatori:
«Allora eccomi qua a raccontare un po' di (autentica) storia delle BG. Da quei mitici esordi del nostro tifo sono ormai passati tanti anni, comunque io proverò a raccontarvi tutto ciò che ricordo di quei tempi lontani. Il fatto che in una fredda serata del novembre 1971 venga ufficializzata la nascita di un gruppo organizzato, non significa che prima non ci fosse nulla: c’era poco, ma qualcosa c’era. Cronache ed aneddoti che percorrono il flebile confine tra storia e leggenda parlano di un forte interesse per la squadra cittadina già negli anni ’20, periodo dal quale spunta il nome di “Tomaci”, un tifoso veronese che spicca per estrosità e passione: caratteristiche che, cinquant’anni dopo, saranno uno dei tratti distintivi delle Brigate Gialloblu. Ma è a partire dagli anni ’50 che attorno al Verona si crea un pubblico di affezionati. Il calcio rimane comunque solo uno spettacolo, appassionante fin che si vuole, ma pur sempre un’alternativa al cinema, al teatro e alle passeggiate “fuori porta”. Si gioca al “vecio Bentegodi”, impianto storico a due passi da piazza Brà (nell’area dell’attuale parcheggio Arena). Le prime bandiere gialloblu, assolutamente artigianali, appaiono nel 1957, anno della prima promozione in serie A. Nel 1963 viene inaugurato il Bentegodi attuale: 40.000 posti e un design (all’epoca) da far invidia a piazze ben più famose. Le tribune cominciano a colorarsi di gialloblu, niente di particolare, intendiamoci, ma le bandiere si moltiplicano e appaiono anche i primi striscioni dei calcio club. La passione esplode nel ’68 con la seconda promozione in serie A e l’inizio di un decennio di grandi soddisfazioni calcistiche. Dal ’68 al ’71, sulla spinta dei risultati acquistiti sul campo e sull’onda del fervore sociale di cui abbiamo già parlato nella prima parte, lo stadio si riempie di giovani: passionali, rumorosi, colorati. Un primo gruppo di giovanissimi tifosi, si ritrova dietro lo striscione “i 4 fedelissimi”, forse l’embrione delle future BG, in un Bentegodi sempre più gialloblu in cui la voglia di aggregazione attorno alla comune passione per l’Hellas, attende solo di essere formalizzata per diventare leggenda. E la leggenda inizia, come ci ha raccontato Moreno, il 30 novembre 1971. Attorno al nucleo iniziale delle BG, ben presto si aggregano tutti quei tifosi, in stragrande maggioranza giovani e giovanissimi, che vogliono vivere lo stadio in modo più coinvolgente, agendo in maniera attiva sull’andamento della partita, diventando in qualche modo “attori” piuttosto che spettatori passivi. Colore quindi, e incitamento vocale con la creazione di slogan e di cori per la squadra e i giocatori. Uno striscione lunghissimo, blu, con la scritta “calcio club verona brigate gialloblu” diventa parte integrante della ringhiera della curva sud, e uno più piccolo, con la semplice scritta “brigate” inizia a comparire negli stadi italiani quando il Verona gioca in trasferta. I nuovi adepti del tifo gialloblu che si affiancano al nucleo fondatore (soprattutto giovani di estrazione popolare, ma anche appartenenti alla “Verona-bene”) giungono allo stadio sottoforma di gruppi di amici e compagnie da bar, posizionandosi accanto alle BG con lo spirito di chi si reca ad una festa dove si può “fare casino”. Per molti la curva diventa quindi un’abitudine e il gruppo si allarga a macchia d’olio. Difficile dire su quante persone potesse contare lo “zoccolo duro” dei primi tifosi da curva, perché la stadio all’epoca era molto più “aperto” di adesso, e la curva non era ancora diventata un territorio esclusivo dei tifosi più accesi. Tra l’altro, nella stessa curva, potevano trovare posto entrambe le tifoserie e, in più di qualche caso, nascevano scontri verbali e non solo.
Più di un “brigatista” storico ci ha detto che “dall’anno solare 1972 in poi, magari in pochi, ma in ogni stadio dove giocava l’Hellas qualche tifoso della curva andava sempre”. Non possiamo controllare se questa affermazione corrisponda o no al vero, quel che è certo è che con la nascita delle BG inizia l’epoca delle trasferte al seguito del Verona, epoca che per fortuna non si è ancora conclusa. Se si escludono partite di una certa importanza, come ad esempio gli spareggi, la società Hellas Verona non interveniva, economicamente e logisticamente, per agevolare i tifosi nelle trasferte, pertanto, i veronesi che volevano recarsi al seguito dell’Hellas dovevano organizzarsi da soli i pulmann, i treni, l’acquisto dei biglietti e tutto ciò che concerne lo spostamento in massa. Tutto abbastanza semplice quando si tratta di viaggiare a nord di Firenze, o di arrivare in città come Roma e Perugia, decisamente avventuroso quando si devono raggiungere le isole e il sud della penisola. Stiamo infatti parlando dei primi anni ’70: non c’erano i voli charter, non c’erano gli intercity e gli spostamenti risultavano comunque sempre molto lenti. Ma nulla fermava i tifosi gialloblu, come ci racconta Gianpaolo che, nel lontano 1974, con quattro amici, raggiunse Cagliari con una “fiat 500”! “Non ricordo il giorno esatto della partita (ma basta dare un’occhiata all’almanacco) ricordo però che si era a metà marzo. Aldo, un amico che aveva fatto la naja in Sardegna propose di andare a Cagliari a vedere la partita del Verona: teneva ancora rapporti con dei commilitoni del posto e avremmo potuto alloggiare da loro. Partimmo in 5 da Bovolone il sabato mattina, prestissimo, con una 500 sul cui portapacchi erano sistemate due bandiere gialloblu. Il programma prevedeva di raggiungere Piombino in tarda mattinata e da lì, in traghetto, Olbia, dove ci saremmo fermati per la notte. Il giorno dopo (domenica), avremmo proseguito per Cagliari per poi rifare il tragitto inverso e tornare a casa per il lunedì sera. Avevo vent’anni e studiavo economia e commercio a Padova, quindi non avevo problemi di lavoro, ma 3 dei miei compagni di viaggio lavoravano e il fatto di prendersi un giorno di ferie per seguire il Verona era davvero una strappo alla regola considerevole. Le cose cominciarono a complicarsi quando arrivammo a Piombino: anche se eravamo in orario sulla tabella di marcia non riuscimmo a prendere il traghetto. Non ricordo bene perché, ma credo che bisognasse prenotare e non ci fosse più posto. La cosa bella è che non ci scoraggiammo affatto e sulla scorta di quanto ci aveva detto un portuale toscano, raggiungemmo Civitavecchia dove nel pomeriggio, molto fortunosamente (non avevamo prenotato neanche lì), riuscimmo a salpare per la Sardegna! Di positivo ci fu il fatto di arrivare direttamente a Cagliari, di negativo dodici ore di mare mosso! Comunque, a mezzogiorno della domenica, la nostra 500 correva per le vie adiacenti il porto del capoluogo sardo. Pranzammo in una trattoria mangiando spaghetti con la bottarga di muggine e fritto misto, bevendo davvero molto. C’era una cameriera carina e noi, per averla il più possibile al tavolo, continuavamo ad ordinare quartini di bianco. Lo stadio non era lontano ma arrivammo sugli spalti a partita iniziata, dopo aver preso dei biglietti costosissimi all’unico bigoncio ancora aperto. Ci indicarono l’entrata giusta e salimmo i gradini fino ad arrivare in una parte di gradinata molto centrale, non proprio una tribuna vip, ma quasi. Eravamo gli unici veronesi in quel settore, e forse nello stadio intero perché, per quanto mi sforzassi di cercare con lo sguardo qualcosa di gialloblu, non riuscivo a vedere nessuna bandiera o striscione. Oltre alle 2 bandiere, avevamo con noi una tromba da stadio e le sciarpe d’ordinanza. Curva o non curva, in campo c’era il Verona e noi eravamo anche ubriachi fradici! Ci guardavano tutti in un primo tempo un po’ preoccupati, poi decisamente divertiti, ma a noi non ce ne fregava proprio niente: cantammo per tutta la partita, sventolando ininterrotamente le bandiere. La partita finì 1-1 ma, lo giuro, non mi ricordo nulla di quanto è successo sul campo. All’uscita dallo stadio eravamo stremati ma pronti al viaggio di ritorno. Purtroppo non riuscimmo a trovare un distributore di benzina aperto (era il periodo dell’austerity, delle targhe alterne, era domenica e la Sardegna sembrava anche un altro mondo!).
La 500 era talmente a secco che non sapevamo proprio come arrivare al porto. Allora tornammo a piedi alla trattoria dove avevamo pranzato e il titolare, in qualche modo, riuscì a procurarci qualche litro di benzina che non era normale o super, mi sembra che fosse “agricola” o forse di quella per le barche, comunque la 500 (grandissima auto) sembrò gradire. Però si era fatto tardi e il primo traghetto per Civitavecchia non sarebbe partito prima del mattino dopo (sempre che ci fosse posto). Ci vuotammo le tasche e i conti dissero chiaramente che dovevamo scegliere: o si dormiva in albergo, o si pagava il traghetto: in pratica non c’era scelta. Si pensò di tornare alla trattoria e di chiedere ospitalità (magari dividendo il giaciglio con la cameriera), finchè Aldo non si ricordò che ad Olbia i suoi amici ci stavano ancora aspettando! Così partimmo per Olbia, senza considerare che si trovava all’altro capo dell’Isola e quella che finora era stata un’avventura tutto sommato divertente si trasformò in un’esperienza indimenticabile. Dopo due ore alla velocità di crociera di 70 km orari ci rendemmo conto che la benzina non sarebbe durata moltissimo, urgeva quindi trovare qualcuno a cui chiedere quanto mancava ad Olbia per fare i calcoli del caso. Non solo non c’era un bar aperto, ma nemmeno una casa chiusa! Era mezzanotte passata e noi ci trovavamo nel bel mezzo della Barbagia con il serbatoio agli sgoccioli e senza nessuna idea di quanto mancasse alla meta. Ormai la sbornia era smaltita e, al massimo, un paio di noi avevano solo un gran mal di testa, eppure non ci rendevamo conto della situazione: eravamo felici e si parlava di quanto sarebbe stato bello raggiungere prima o poi la zona Uefa per organizzare trasferte europee! Ogni 10-15 minuti ci fermavamo per fare pipi, poi ripartivamo e Aldo guidava sempre più piano per risparmiare carburante. Poi l’euforia si spense e fummo colti dal torpore. Mi svegliai quando Aldo fermò la macchina, nella piazza di un paesino, davanti ad una pompa di benzina. Saranno state le 3 e mezza del mattino. Si pensò di suonare il campanello, ma si vociferava che i sardi, pur considerando sacra l’ospitalità, tengono sempre un’arma da fuoco sotto il cuscino. Tirammo a sorte per decidere chi fossero i due fortunati che avrebbero dormito in auto: gli altri si procurarono qualche sedia nel plateatico di un bar vicino e usarono sciarpe e bandiere come coperte! A me toccò di dormire fuori. Faceva freddo e non si vedevano nemmeno le stelle, il che significava che poteva anche piovere... Eppure non ero per nulla preoccupato, anzi, mi godevo minuto per minuto quell’avventura fantastica. Poi crollai dal sonno. Alle 6 in punto cominciarono a suonare le campane della chiesa e ci svegliammo di soprassalto. Di fatto era ancora notte, ma il paesino si stava animando (soprattutto di donne che andavano in chiesa… ed era lunedì!). Uscì fuori anche il gestore della pompa che rimase praticamente paralizzato alla vista della scena. Scoprimmo in seguito che la sua famiglia gestiva anche l’unico bar, l’unico forno e l’unico negozio del paese! Passato lo sgomento riuscimmo a fare il pieno e il signore ci offrì anche il caffè. La brutta notizia fu l’apprendere che Olbia non era proprio dietro l’angolo… ma nemmeno in capo al mondo, arrivammo in tarda mattinata e scoprimmo che Olbia, oltre ad essere una cittadina di tutto rispetto, aveva una splendida spiaggia e anche se era marzo e non faceva proprio caldo, veniva voglia di fare il bagno (forse perché non ci lavavamo da tre giorni?). Prendemmo 3 panini in cinque per risparmiare i pochi soldi rimasti e poi decidemmo il da farsi. Ormai non ci interessava più di incontrare gli amici di Aldo: ci bastava imbarcarci sul traghetto per Piombino. Si presentarono però due problemi: non avevamo prenotato e il primo traghetto in partenza era completo ma, soprattutto, dopo il pieno di benzina, nonostante il pranzo frugale, non avevamo abbastanza soldi per il ritorno. All’epoca non esisteva il bancomat e l’unica soluzione era telefonare a casa perché ci inviassero un vaglia o ci portassero direttamente i soldi! Intanto, tra un giretto in spiaggia e una pennichella si fece sera. Gli amici di Aldo in realtà erano uno solo, e non abitava ad Olbia, ma in un paesino a pochi chilometri. E il numero di telefono che Aldo aveva con se’ non era quello di casa dell’amico (non tutti all’epoca avevano il telefono a casa) ma quello di un bar del paesino che, naturalmente, il lunedì faceva turno di chiusura. Riuscimmo comunque a spiegarci e in qualche modo l’amico di Aldo venne avvisato del nostro arrivo. Non fu facile trovare il posto ma ci riuscimmo. Erano tre giorni che non ci lavavamo e che non dormivano decentemente. Telefonammo a casa e vi lascio immaginare il casino, soprattutto per chi lavorava. Comunque, passammo la notte a casa dell’amico di Aldo e il giorno dopo (martedì), grazie a lui (che ci prestò i soldi e riuscì a sistemarci su un traghetto) ripartimmo per il continente. Rimisi piede a casa all’una del mattino del mercoledì. Ogni volta che ripenso a quel viaggio prima mi viene da ridere, poi mi viene da piangere per la nostalgia di quegli anni, per il senso di amicizia, per l’incoscienza con cui si facevano le cose. Mi rendo conto che alla fine, anche se all’epoca sembrava di fare tutto per l’Hellas, il tempo che si dedicava a fare i “tifosi”, era tempo dedicato al piacere di stare insieme.” Abbiamo detto che i primi tifosi della sud sono giovani e di varia estrazione sociale, per chiudere l’identikit mancano ancora due dati: la provenienza e il loro “collocamento ideologico”. All’inizio i brigatisti vengono soprattutto dalla città e dintorni. L’amore per l’Hellas in provincia è molto radicato, ma i tanti tifosi provenienti dai quattro angoli del veronese sono quasi tutti inquadrati nei calci club. Sono infatti i club locali che organizzano il trasporto domenicale al Bentegodi soprattutto con gli autobus. Ci vorrà un po’ di tempo prima che i più giovani, pur raggiungendo lo stadio al seguito dei calcio club, prendano le scale della curva sud. Non tutte le zone della provincia, inoltre, risultano “fertili” allo stesso modo per il tifo veronese. Sembra che i primi gruppi cospicui di brigatisti “provinciali” venissero da zone ben definite: la Valpolicella, il villafranchese (soprattutto Vigasio e Valeggio) e parte della bassa (Bovolone, Nogara, Cerea). Alternative all’Hellas erano le solite Juve, Milan, Inter, qualcuno aveva ancora nel cuore il grande Torino mentre, nell’est della Provincia, si registravano anche veronesi che seguivano il Vicenza! Siamo comunque nel novero delle memorie personali, dati certi è impossibile averne: nessun censimento di questo tipo è mai stato fatto in curva.
Per quanto riguarda invece il “collocamento ideologico” delle BG, il discorso è un po’ più complesso, soprattutto se si considera che, al momento dello scioglimento del 1991, la curva sud era dichiaratamene schierata a destra, con tanto di slogan e simboli espliciti che non lasciavano dubbi in merito. Eppure abbiamo visto come la denominazione stessa di “Brigate Gialloblu” sia di matrice opposta. La natura “sinistroide” delle BG non deve essere presa alla lettera, in quanto si tratta di un’ispirazione formale, non certo ideologica: le BG, come del resto parecchi altri gruppi ultrà, nascono apolitiche, con l’unico intento di supportare la squadra. Curva quindi apolitica e in netto contrasto con quelle tifoserie che, al contrario, si dichiarano apertamente schierate come, ad esempio, quella bolognese, protagonista, nel 1973, dei primi scontri di rilievo nei pressi del Bentegodi e alla stazione di Porta Nuova. La partita tra Verona e Bologna è solo un pretesto: parte dei bolognesi che giungono in città sono infatti militanti di estrema sinistra che cercano lo scontro con gli esponenti veronesi del Fronte della Gioventù e di Ordine Nuovo. La “questione politica” verrà affrontata più dettagliatamente nella parte dedicata agli anni ’80, tuttavia, va detto che l’entrata in curva sud di giovani facenti parti di organizzazioni di destra (che notoriamente hanno sempre avuto terreno fertile a Verona) comincia molto presto, secondo alcuni già dal 1972, quando accanto allo striscione delle BG comincia ad apparire quello del gruppo “Ultras”. La curva comunque rimane aperta e il tifo prevale su tutto. Del resto, il fatto che i brigatisti della prima ora si proclamassero apolitici, non significa che fra le centinaia di persone che si aggregano alle BG non ce ne siano di schierate politicamente, e non solo a destra. Se lo striscione delle BG funge in pratica da “chioccia” dietro cui si muove un gruppo sempre più corposo ed eterogeneo, iniziano a formarsi altri gruppi, minori, che con gli anni diventeranno sempre più numerosi tanto da diventare, a metà degli anni ’80, un altro tratto caratterizzante della curva veronese. Oltre ai già citati “Ultras”, nei primi anni ’70 nascono anche i “marines gialloblu”, seguiti alla fine del decennio dalla “Punk Brigade”, da “Hellas Army” etc. Ma com’è organizzata la curva? Le BG, come ogni altro calcio club, hanno un gruppo direttivo che detta le regole e pianifica il tifo casalingo e le trasferte. Chiaramente, solo una piccola parte dei frequentatori della curva è tesserato con le BG, il resto, come abbiamo visto, è composto da gruppi di giovani che frequentano assiduamente lo stadio ma non sono “inquadrati” nel calcio club. Tuttavia, tutti i tifosi della curva sud, anche quando sarà divisa in gruppi e sottogruppi, raccolti dietro a decine di striscioni diversi, si definiranno membri delle BG. |
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