Molto si è discusso sulla comunicazione di politici e giornalisti, poco di quella del mondo dello sport. Eppure anche qui c'è bisogno di comunicare obiettivi e, a volte, giustificare insuccessi. Sempre più spesso dirigenti, allenatori e calciatori giocano furbescamente con le parole per mascherare prestazioni scadenti. Ad esempio: ci è mancato solo il gol, per uno sport come il calcio dove il gol è tutto ... lascia pochi alibi. Il messaggio voleva essere: però abbiamo giocato bene, abbiamo fatto noi la partita. Ma di una cantante lirica si ricordano la voce e l'interpretazione non certo la bellezza fisica. Senza talento non esistono parti da interpretare. Pertanto, l'estetica nel calcio (il bel gioco), come accade in ogni contesa, è sempre subordinata al risultato finale (fare un gol in più). Della serie: l'importante è vincere, non conta (giocando) come.
Un altro messaggio subdolo di moda in questo periodo è: il nostro obiettivo è salvarci. Questo è un ossimoro tipico della comunicazione sportiva: E 'l naufragar m'è dolce in questo mare (Leopardi). La salvezza non può mai essere un obiettivo perché il mancato raggiungimento comporta una variazione di status o condizione. Lo studente che non ha tutte sufficienze in pagella o viene rimandato oppure ripete l'anno. La squadra che non si salva retrocede. La salvezza pertanto si difende, non si traguarda. E' la condizione MINIMA per andare avanti, una META INTERMEDIA da conquistare nel minor tempo possibile, non può essere certo l'obiettivo di una stagione. Nessuna squadra s'iscrive SOLO per salvarsi: gli obiettivi possono essere vincere una manifestazione (scudetto, Champions League, Coppa Italia), ottenere un buon piazzamento, valorizzare giovani talenti, praticare un bel gioco. Ma non certo quello di evitare di retrocedere.
Citando Seneca con il non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare, l'obiettivo di salvarsi equivale quindi al restare fermi in porto, la rinuncia iniziale al viaggio. Come il soldato che spera solo di non morire e si ritrova inevitabilmente a fuggire dal campo di battaglia. Nemmeno da un punto di vista aziendale quest'affermazione ha senso. Obiettivi nel lavoro possono essere una promozione, ricoprire ruoli di responsabilità, svolgere attività gradite o attinenti alla propria indole, un riconoscimento economico, la difesa del posto di lavoro. Non quello di evitare di essere licenziati (l'ho combinata grossa, ma non abbastanza per...).
È subdolo far passare ai tifosi la salvezza come un obiettivo per non ammettere il fallimento stagionale. Difficilmente dirigenti e allenatori confessano i propri errori: il ci è mancato solo il gol, che può essere tollerato in una singola gara particolarmente sfortunata, non placa di certo gli animi nel caso in cui si perda la finale o uno spareggio. L'allenatore che non pensa prima di tutto al risultato non è un bravo allenatore. Se poi l'obiettivo stagionale diventa la salvezza, mi chiedo quale tifoso riesca ad essere soddisfatto per il solo fatto di essere riuscito a salvarsi. Sarà sollevato per il rischio corso forse, ma certamente non applaudirà i suoi beniamini. Non esiste merito per non essere retrocessi.
Non so esattamente come funziona nel Verona. Alcune società di calcio non prevedono l'erogazione di bonus in caso di semplice salvezza, così come nel mondo reale ai propri dipendenti nel caso in cui la società non chiuda l'esercizio in utile. Se vogliamo, il pareggio di bilancio è equivalente al raggiungimento della salvezza nel calcio. Che poi questo implichi tutta una serie di difficoltà, è scontato. Ma i già numerosi privilegi (e non solo dal punto di vista economico) di chi si occupa di sport dovrebbero bastare per costringerli ad assumersi responsabilità di fronte a chi è costretto a subire le conseguenze dei loro errori. Il tifoso ha bisogno di sportivi umili e motivati, non certo scaltri nella parola.