Josè Guimaraes Dirceu
Centrocampista - 1.70 m
Con l'Hellas: 47 presenze e 6 gol
Dirceu è stato sicuramente il "piccoletto" di maggior classe della storia gialloblu, ma anche e soprattutto un grande uomo. Il mitico Puliero nel suo libro "Alè alè bum bum" lo ricorda così.
"Era dai tempi del favoloso Gundersen e del mitico Emanuele Del Vecchio che il Verona non aveva potuto schierare tra le sue fila un giocatore straniero; nel 1982-83 con la riapertura delle frontiere finalmente ritornarono ad accendere le fantasie dei tifosi anche giocatori fuori dall'Italia. I primi furono il polacco Zmuda e il brasiliano Dirceu, trentenne brasilero giramondo che già aveva portato i suoi tocchi fantasiosi in Spagna e in Messico oltre ad aver partecipato ai mondiali del 1982. Dirceu, proprietario del suo cartellino assai prima della cosiddetta era-Bosman, portò subito una carica di travolgente simpatia. In campo, era un brasiliano per molti versi atipico. Evitava accuratamente il dribbling, e correva senza sosta con i capelli al vento nelle vicinanze della palla. Una volta ricevuta, subito la smistava rigorosamente di prima con tocchi mirabili. Sapeva inoltre inventare lanci lunghissimi, e, quando capitava l'occasione, esplodeva superbi tiri da lontano: la sua battuta fondava violentemente la palla verso l'obiettivo, nei pressi del quale essa pareva improvvisamente rallentare per poi scendere - diceva lui- con un "giro di samba" Egli fu un insuperabile reclamizzatore di se stesso. In allenamento sorrideva sempre. Regolarmente accerchiato da drappelli di tifosi, a tutti regalava un festoso "ciao amigo". Rispondeva con gentilezza a chiunque, e si faceva in quattro per accettare i mille inviti che da ogni parte gli rivolgevano. Dirceu faceva tutto ciò per una scelta meditata, ma anche, certamente per reale cordialità. Se ne andò sommerso dall'affetto della gente. Bagnoli ne aveva all'inizio accolto l'arrivo con perplessità: Dirceu era stato ingaggiato solo negli ultimi giorni di mercato e nel suo ruolo c'era già Guidolin, giocatore amato e stimato. Il brasiliano però ci mise poco a conquistare un posto da titolare e il suo primo gol italiano portò alla 7° giornata il Verona ad un incredibile primo posto in classifica. Le sue grandi prestazioni si ripeterono di giornata in giornata e lo fecero diventare l'idolo dei tifosi. In estate però un amletico dubbio cominciò a tormentare i supporters gialloblù: Dirceu va o resta? Il brillante campionato del Verona e del brasiliano avevano attirato le attenzioni di molte squadre. José sarebbe rimasto volentieri a Verona, le cui mura antiche erano state addirittura tappezzate di centinaia di manifesti invocanti la sua permanenza in gialloblù. Le numerose e ricche offerte però orientavano i dirigenti del Verona verso la sua cessione. Ma come avrebbero potuto dirlo alla piazza? Essi contattarono i giornalisti amici, quelli che da anni erano abituati ad un atteggiamento acritico e ossequioso verso chiunque detenesse potere. Quando perciò Dirceu, come avrebbe fatto qualunque professionista, accettò l'offerta del Napoli, partì immediatamente, in particolare su L'Arena, una campagna di demonizzazione verso il "folle traditore e mercenario" brasiliano. Si rievocarono con protervia ed acidità le mille dichiarazioni di amicizia di José ai suoi tifosi, inventando per Verona l'immagine grottesca di una fanciulla cinicamente tradita, sedotta ed abbandonata da un avventuriero senza scrupoli. Molti tifosi abboccarono e quando alla 9° giornata Dirceu si presentò al Bentegodi con la maglia del Napoli, lo stadio lo accolse ribollente di fischi e urla di scherno, e pavesato di striscioni irridenti tra i quali campeggiava un "Dirceu, amigo dighelo a to pare". José, che nelle dichiarazioni della vigilia aveva ribadito comunque il suo affetto alla città, esprimendo il desiderio di salutare i suoi vecchi tifosi benché gli avessero voltato le spalle, si comportò ancora una volta da signore. Incurante dei mille insulti assurdi che gli piovevano dagli spalti, tempestato dai fischi e improperi, tranquillo e deciso egli si diresse corrichiando intorno alla curva affrontando a viso aperto, come per un dovere irrinunciabile , proprio il boato che lo aggrediva con sempre maggiore veemenza. Ai lazzi degli smemorati e degli ingenui, egli oppose un lungo saluto con le mani alzate che suscitò rispetto ed ammirazione. In campo poi quando il suo compagno segnò il gol del pareggio evitò di esultare in rispetto dei suoi vecchi tifosi. Ora il vecchio "amigo" è arrivato prematuramente all'ultimo trasferimento (è morto nel 1994 in un terribile incidente stradale); senza essere un campionissimo, ha certamente saputo comunicare la sua voglia saggia di affrontare il calcio come un gioco da vivere fantasiosamente con fanciullesca allegria. Se là dove ora riposa è ancora lecito giocare, non v'è dubbio che sia riuscito a strappare un ingaggio anche a San Pietro."
da "Alè alè alè bum bum" di Roberto Puliero.
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