«Presidente, lei mi ha venduto tutti i cavalli di razza, mi sono rimasti solo i somari...»
«Canà, guardiamoci negli occhi: se in Italia non c'è più nessuno da scoprire, vuol dire che andremo anche noi all'estero, magari in Brasile. Qualche giovane promessa, magari qualche campione: ce ne sono ancora...»
Questo dialogo fra l'allenatore Oronzo Canà (Lino Banfi) e il presidente Borlotti (Camillo Milli) è tratto dal film cult degli anni Ottanta L'Allenatore nel Pallone, di Sergio Martino, in cui si raccontano le imprese della Longobarda, squadra neo-promossa in serie A.
È innegabile che il film abbia tratto, almeno in parte, ispirazione dalla «infatuazione» delle società di calcio italiane verso i brasiliani dopo la decisione di aprire al secondo straniero nel 1982. Il veto verso gli stranieri nel campionato italiano, introdotto dopo la debacle contro la Corea nel Mondiale del 1966, ebbe fine solo nel 1980. Nel 1982, grazie anche alla vittoria dell'Italia nel Campionato del Mondo in Spagna, la Federazione acconsentì all'ingaggio del secondo straniero.
Arrivarono in Italia in quegli anni alcuni campioni brasiliani come Dirceu al nostro Verona, Edinho e Zico all'Udinese, Socrates alla Fiorentina, Junior al Torino, ma anche calciatori meno affermati se non addirittura sconosciuti come Juary all'Avellino, Eneas al Bologna e Luis Silvio alla Pistoiese. Come sempre, ognuno si arrangiava in base al budget concesso dalla società. C'è chi poteva contare sugli sforzi degli sponsor, chi aveva una rete di osservatori all'estero, e chi doveva accontentarsi di pescare qualche promessa.
Anche qualche decennio prima la situazione non era molto diversa, anzi abbiamo scoperto che la realtà talvolta supera la fantasia, e il mercato del Verona che stava per affrontare il suo primo campionato in serie A (stagione 1957-58), avrebbe potuto benissimo ispirare un film.
Nell'estate del 1957, Giorgio Mondadori, presidente della società gialloblu, ha in mente piani ambiziosi e programma sul medio termine. Il suo obiettivo è insediare il Verona stabilmente in serie A. Missione impegnativa, per una matricola assoluta, ma non impossibile, se si tiene conto che nel 1957-58 ci sarà una sola retrocessione diretta per l'ultima in classifica, mentre la penultima dovrà spareggiare con la seconda classificata in serie B. Il regolamento di quegli anni è piuttosto conservativo e non consente grandi movimenti fra le categorie del calcio professionistico.
Il mister Angelo Piccioli, che ha fatto la gavetta a Verona, dove è di fatto passato dal ruolo di giocatore a quello di allenatore, è consapevole che la rosa va rinforzata ed adeguata per affrontare il campionato di serie A. Ma, proprio come capita alla Longobarda ne L'allenatore nel pallone, il mercato si apre con le cessioni di pezzi pregiati e quasi nessun arrivo. I giovani del Verona, protagonisti di un'ottima stagione in cadetteria, piacciono a molte squadre. Appena finito il campionato, il Verona porta l'attaccante Gino Bertucco e il portiere Lorenzo Piccoli a Napoli. Per il primo viene chiuso il contratto mentre Piccoli, dopo un provino non molto esaltante, probabilmente a causa dell'emozione, torna a Verona.
Il primo acquisto gialloblu è quello dello straniero che viene dal Nord ma, mentre quasi tutte le principali formazioni di serie A si possono fregiare di grandi campioni svedesi, Mondadori pesca lo sconosciuto Finn Gundersen dal campionato norvegese. Tanto per dare un'idea, la Norvegia non ha preso parte a nessuna competizione internazionale fino a quel momento, e il suo massimo acuto calcistico è probabilmente l'estemporanea vittoria contro l'Ungheria conseguita il 12 giugno 1957 nella seconda gara del girone di qualificazione ai Mondiali del 1958. Estemporanea perché destinata a rimanere l'unica vittoria della Norvegia nel girone, che vedrà proprio la favorita Ungheria qualificarsi ai Mondiali davanti alla Bulgaria.
Serve uno straniero di ben altro spessore e capace anche di infiammare la piazza veronese per tenere alto l'entusiasmo e continuare a riempire di pubblico i rinnovati spalti del vecchio Bentegodi. Così, proprio come accade a Oronzo Canà, tocca addirittura all'allenatore mettersi in proprio, e Angelo Piccioli fa le valigie per il Brasile alla ricerca dell'oriundo da portare in riva all'Adige. Missione tutt'altro che semplice, come si rivelerà alla luce dei fatti.
Il calcio brasiliano nel 1957 è ancora alla ricerca della sua vera identità. Il Mondiale del 1950, con l'inopinata sconfitta casalinga ad opera dell'Uruguay, ha lasciato il segno su una Nazionale ambiziosa, piena di talento, ma che deve fare i conti con un'organizzazione ancora di tipo dilettantistico. Non esiste ancora un campionato nazionale brasiliano ma campionati regionali, fra questi i più noti sono il campionato paulista in cui si confrontano le formazioni di San Paolo, e quello carioca con le formazioni di Rio de Janeiro.
A San Paolo è in costruzione lo stadio Morumbi, per sovvenzionare i cui lavori viene organizzato un torneo internazionale, la Copa Morumbi, che prende il via il 16 giugno 1957. Le partite si disputano al Maracanà di Rio de Janeiro e al Pacaembu di San Paolo, dato che il Morumbi è ancora lontano dall'essere ultimato. Fra le squadre partecipanti alla Copa Morumbi c'è anche la Lazio, che rimedia due sconfitte con Corinthians e San Paolo ma salva l'onore battendo gli spagnoli del Siviglia. Il torneo, tuttavia, non ottiene interesse del pubblico e viene sospeso dagli organizzatori per motivi economici. Pare che l'organizzatore Menezes debba fronteggiare un passivo stimato in 100 milioni di lire, e le squadre se ne tornano tutte a casa per limitare i danni visto che non potranno percepire i rimborsi pattuiti. Questo dà un po' la misura di cos'è il calcio brasiliano in quegli anni.
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Campagne pubblicitarie per la raccolta fondi destinati a costruire lo stadio Morumbi a San Paolo. Archivio storico del San Paolo Futebol Club.
Il giornalista del Corriere dello Sport, Giuseppe Melillo, inviato a seguire le vicende della Copa Morumbi, intervista una vecchia conoscenza del calcio italiano, l'allenatore ungherese Bela Guttmann (ha allenato Padova, Triestina, Milan e Lanerossi Vicenza), e gli chiede qual è la situazione del calcio brasiliano. Questa la risposta: «Brillantissima da un punto di vista individuale. Scadente su quello collettivo. (...) È questione di tempo però.» Il talento di Pelè sta per sbocciare, sarà lui a guidare la nazionale brasiliana al primo successo mondiale in Svezia da lì a 12 mesi, nel 1958. Nell'estate del 1957, Pelè è ancora un astro nascente.
Nonostante l'indiscusso talento a livello individuale, i giocatori brasiliani non hanno esattamente fama di essere atleti affidabili. Nella citata Lazio, ad esempio, milita l'estroso Humberto Tozzi, centravanti dal gol facile ma molto incostante, per non dire abulico. Non va d'accordo con nessun allenatore, e la puntualità agli allenamenti è un optional. Nell'estate del 1960 si renderà protagonista di una querelle legale con la Lazio. E che dire di Julio Botelho, in arte Julinho, n. 8 della Fiorentina, forse la migliore mezzala del campionato italiano ma perennemente malato di saudade al punto da costringere i dirigenti viola a marcarlo a uomo in Brasile per tutta l'estate del 1957 nel tentativo di convincerlo a tornare? Anche qui, il presidente viola Befani decide di mandare in Brasile direttamente l'allenatore, Fulvio Bernardini. «Non torni senza Jullinho» è l'istruzione del patron della Fiorentina.
Mentre Piccioli tenta di destreggiarsi in Brasile visionando i giocatori che hanno origini italiane certe, in Italia il Verona è alle prese con gli assalti ai suoi giovani. Tra i pezzi pregiati in casa gialloblu ci sono il portiere Italo Ghizzardi e il centravanti Cesare Maccacaro. Per il secondo, arrivano voci da Roma che vorrebbero la società giallorossa disposta a cedere al Verona l'uruguagio Ghiggia, l'uomo che ha fatto piangere l'intero Brasile nel Mondiale del 1950. Le ipotesi suggestive sono molte ma, fra Angelo Piccioli in Brasile alla ricerca di un talento oriundo, Giorgio Mondadori forse più preoccupato di vendere bene che di comprare, e la solita questione degli «aventiniani» (ovvero dei giocatori che ad inizio stagione rifiutano la convocazione per rinegoziare il contratto), il Verona, al momento di partire per il ritiro, può contare solo su 9 calciatori.
Il torpedone messo a disposizione dalla società per raggiungere il ritiro di Fai della Paganella sembra quasi sprecato. Sarà un'estate lunga, tutta da raccontare.
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Giovedì 1 agosto 1957. I giocatori del Verona, circondati dai tifosi, sono pronti a partire per Fai della Paganella. Insieme al massaggiatore Forante e al preparatore atletico Dott. Bovi, i 9 atleti gialloblu sono: Stefanini, Frasi, Carantini, Ghizzardi, Ronzio, Poli, Gundersen, Gaiga e Larini. Foto tratta da Il Gazzettino.
Paolo