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HELLAS VERONA / Le Ultimissime

TRA STADIO E PLAY-OFF (3° PARTE)

Hellastory: Le Ultimissime

TRA STADIO E PLAY-OFF (3° PARTE)
TRA STADIO E PLAY-OFF (3° PARTE)

Ad un mese di distanza e con un po' di ritardo sui tempi promessi (scusate, ma è il prezzo da pagare per chi, come noi, può dedicare solo i ritagli di tempo alla passione per i colori gialloblu) riprendiamo le fila dell'analisi che avevamo iniziato ad inizio gennaio prendendo spunto dai dati di bilancio della nostra amata società. Come avevamo preventivato, il calciomercato si è chiuso con un nulla di fatto. La forza e l'unione mostrata in questi mesi dal gruppo di Mandorlini ha scoraggiato qualsiasi investimento “tanto per” ; la carenza poi di talenti sul mercato, se non a cifre “folli” (tipo quelle spese dal Sassuolo per Missiroli) hanno fatto il resto e, come sottolineato nel Canone Inverso del nostro Massimo, Gibellini, Martinelli e (ahilui?) Mandorlini hanno preferito, per dare nuova linfa alla cavalcata verso i piani alti della classifica, puntare sui talenti finora inespressi di casa (Esposito, Berettoni, Pugliese, Lepiller) piuttosto che fare sacrifici economici per giocatori sì talentuosi (Jeda, Ricchiuti) ma con ingaggi troppo pesanti per rendere sicuro l'investimento e/o non rovinare gli equilibri interni della squadra.

Ora, messo alle spalle il calciomercato e, da sabato scorso, assicurata la salvezza, il Verona non può più nascondersi e, con quello che ha in casa, deve puntare con forza e decisione ai play-off. Senza volerci spingere troppo in avanti, vogliamo dedicare quest'ultima puntata del nostro “reportage economico” sul mondo del calcio, a tre aspetti che potrebbero (fate tutti gli scongiuri del caso) interessare il nostro Hellas nel prossimo futuro e che ci sembrano perciò decisamente interessanti da sviscerare.

STADIO. Il primo riguarda lo stadio. Come ormai è risaputo, la serie A fa sempre più fatica ad incassare dal botteghino; la fetta di incassi da stadio si è ridotta al 15% contro il 25% della Premier League e il 23% della Bundesliga; il motivo di questa debacle è semplice da scovare e risiede nello status antiquato e poco confortevole (eufemismo) della maggior parte degli stadi italiani. Chiunque abbia avuto la fortuna di assistere dal vivo ad una partita in Inghilterra, in Germania o in molti stadi della stessa Spagna, sa di cosa stiamo parlando.
I dati a questo proposito sono disarmanti: l'età media degli stadi italiani di serie A e serie B supera i 60 anni e salvo lo Juventus Stadium inaugurato la scorsa estate, lo stadio più giovane nella serie A 2009/10 era il San Nicola di Bari, costruito nel 1990 (secondo il Sant'Elia di Cagliari del 1970!) e nella serie B l'Euganeo di Padova del 1989.
In questa situazione la costruzione di un nuovo stadio, sul modello di quello sperimentato con grande successo, soprattutto economico (stadio sempre pieno e incassi delle attività commerciali alle stelle), dalla Juventus, potrebbe veramente rappresentare un'arma in più non indifferente. Chiaro, rimane da capire come l'Hellas Verona possa raccogliere tutte le risorse necessarie (stimabili in decine di milioni di euro) ed è necessario garantire una squadra competitiva nel lungo termine, capace di assicurare il tutto esaurito (30 mila spettatori) o quasi per anni prima di poter ritornare dall'investimento.

PROMOZIONE IN SERIE A. Molti si chiedono poi quali potrebbero essere gli effetti economici di un'eventuale promozione in serie A. Anche in questo caso lo studio PwC ci dà una risposta.
Ebbene l'impatto sui ricavi è dirompente. Mediamente infatti le società che sono salite in A dal 2007 al 2009 hanno avuto una crescita dei ricavi di 17 milioni di Euro; merito naturalmente dei diritti televisivi che regalano con generosità i loro introiti facendo accettare a tutti di buon grado spezzatini negli orari e nei giorni di gioco. Se si considera che l'Hellas Verona chiuderà questa stagione di B con 10 milioni di Euro di valore della produzione si capisce bene che un eventuale salto in A potrebbe in un colpo solo più che raddoppiare il fatturato.
E in termini di risultato netto? Purtroppo qui i dati sono meno brillanti ed anzi rischiano di dare ragione al sempre folto gruppo di dietrologi che intravvedono in ogni passo falso del Verona la volontà occulta di "non fare il salto di qualità", quasi che la salita nella massima serie fosse per il Presidente una male da rifuggere come la peste. Ragionamenti discutibili che però purtoppo, ci costa dirlo, sembrano trovare un minimo fondamento nei dati: mediamente infatti la promozione nella massima serie determina un peggioramento del risultato netto di 3,7 milioni. Anche in questo caso le ragioni sono molto semplici: i costi per mettere in piedi una squadra competitiva in A sono elevatissimi; bisogna iniziare ad acquistare cartellini (difficile poter sopravvivere con i soli prestiti di giovani di belle speranze, tipo Tachtsidis o Doninelli) e gli ingaggi inevitabilmente lievitano, soprattutto nei ruoli più prestigiosi (trequartisti e attaccanti). La serie A di quest'anno non fa eccezione e anche le società più piccole ed occulate, come Cesena, Novara e Lecce, hanno dovuto derogare ad ogni limite d'ingaggio per portare in rosa gli attaccanti necessari a rincorrere l'obiettivo della salvezza (da Caracciolo a Iaquinta, da Mascara a Bojinov) . Con il rischio che se la ciambella non riesce con il buco ci si trova a fine anno con la retrocessione ed un bilancio sovra-appesantito negli ingaggi. Per rendere meno dolorosa la caduta le retrocesse ricevono dalle alltre squadre un "contributo di solidarietà" che non impedisce però di farsi del male: la retrocessione in B porta mediamente ad una riduzione secca dei ricavi di 19 milioni di euro ed un peggioramento del risultato netto di 4,5 milioni.

Insomma i dati dello studio parlano chiaro, la promozione nella massima serie è prestigiosa quanto pericolosa e solo se, una volta conquistata, si riesce a mantenerla, si possono trarre dei frutti economici.

PLUSVALENZE LATENTI
E, i dati dicono, l'unico strumento a disposizione delle piccole società per far maturare questi frutti è realizzare plusvalenze. Per farlo bisogna essere in grado non solo di scovare e valorizzare continuamente nuovi talenti ma anche di non indebolire troppo la squadra perché una caduta in serie B, come detto sopra, rovinerebbe tutto. In questo Pastorello aveva sbagliato. Ed in questo invece, presidenti come Campedelli e Cellino, aiutati anche dalla riduzione del numero di retrocessioni, e, a livelli più alti Pozzo e Zamparini, stanno costruendo le loro fortune. Chiaro, per fare plusvalenze bisogna investire, comprando cartellini di tanti giovani giocatori, in Italia e, ahimè sempre di più (a buon mercato) nel mondo, però se il colpo riesce i risultati sono assicurati.

Sintetizzando la nostra analisi possiamo dire che nonostante le mille difficoltà che sta attraversando il mondo del calcio e l'economia in generale, per quanto abbiamo visto, gli spazi per costruire un equilibrio economico attorno ad una società di calcio ancora ci sono. Non è detto che per equilibrio si debba intendere per forza un utile. Anzi, la natura di entità no profit delle associazioni sportive dovrebbe piuttosto piazzare l'equilibrio in una situazione di perdita ridotta, il giusto prezzo da pagare per il beneficio di immagine e di passione che un asset come il calcio produce a vantaggio dell'imprenditore. Per trovare questo equilibrio sembra però necessario, come in tutte le attività imprenditoriali, sostenere ingenti investimenti iniziali, in giocatori ed eventualmente nello stadio, senza i quali è impossibile garantire stabili ricavi futuri.

Un primo passo in questo senso è stato fatto da Martinelli negli scorsi anni, per portare fuori dalle secche della serie C i nostri amati colori. Ora, per proseguire nella strada, serve un nuovo ingente sforzo e sembra chiaro che difficilmente Martinelli potrà essere ancora una volta lasciato solo. Nell'attesa di vedere quali possibili soluzioni appariranno all'orizzonte (nuovi soci? azionariato popolare?) noi tifosi preferiamo distrarci sul campo, tra una giocata di Halfredsson e un esultanza di Mandorlini, nella speranza che tutto questo bel sogno non si interrompa.

Francesco

Hellastory, 13/02/2012

IL VERONA E' UN ASSET


Ogni passaggio di proprietà rappresenta per il tifoso la chiusura di un'epoca. Si perdono i riferimenti emotivi, si aprono nuove speranze, si teme sempre un po' anche per la competenza dei nuovi arrivati. Poi c'è il giudizio storico della (lunga) parentesi settiana definito dai suoi risultati sportivi, dalla permanenza in serie A, dallo spettacolo calcistico offerto (in termini di giocatori che lo hanno espresso e dei tecnici che lo hanno preparato), dall'immagine complessiva che ha ritratto il Verona sotto il suo comando. In tutto questo c'è soprattutto una stagione aperta e una salvezza da conquistare. Insomma, all'assalto del tifoso convergono tutta una marea di sensazioni nuove che eccitano ancora di più lo stato d'animo. Più una, alla quale non eravamo abituati: il passaggio da una proprietà individuale ad un fondo di investimento americano (private equity). Mettiamo subito in chiaro un punto: ogni passaggio di proprietà, a prescindere da quello che accadrà in seguito, è sempre un'ottima notizia. È sufficiente realizzare da una parte che il vecchio ha alzato bandiera bianca di fronte alla gestione del quotidiano, sempre più difficile da sostenere, e alla difficoltà di assicurare un futuro in linea con gli anni passati, soprattutto in un periodo economico caratterizzato dall'aumento dei costi e stressato dal Covid prima e dagli alti tassi di interesse poi. Dall'altra, il nuovo arriva con la certezza di fare bene portando con sé nuove risorse, entusiasmo e voglia di fare. Uscire al momento giusto poi aiuta tutti, tifosi compresi.

[continua]

Qual è stato il miglior gialloblu in campo in

Napoli-H.Verona?



Napoli    H.Verona


Belahyane R.

Bradaric D.

Coppola D.

Daniliuc F.

Dawidowicz P.

Duda O.

Faraoni M.

Kastanos G.

Lazovic D.

Livramento D.

Magnani G.

Montipò L.

Mosquera D.

Sarr A.

Suslov T.

Tengstedt C.


 


Riepilogo stagionale e classifica generale




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