INTRODUZIONE
C'è chi ancora si ostina a definirlo l'ultimo scudetto di una provinciale, dimenticando di elencare quali altri provinciali avrebbero vinto lo scudetto. Perché se le provinciali a cui viene associato il Verona sono Pro Vercelli, Casale e Novese, che hanno vinto il campionato negli anni pioneristici prima della creazione della serie A, è doveroso fare un distinguo.
Non abbiamo tuttavia bisogno di convincerci né tantomeno di convincere nessuno del fatto di essere di fronte ad un evento più unico che raro. Un paio di quotidiani sportivi, il 13 maggio 1985, all'indomani del pareggio di Bergamo, titolarono che questo era il primo scudetto del Veneto e del Triveneto. Chiedere ad un tifoso del Verona se per lui la vittoria dello scudetto significhi aver dato lustro ad un'intera Regione geopolitica, significa ricevere una risposta scontata che fa il paio con il concetto «soli contro tutti».
Lo scudetto della stagione 1984-85 è ancora oggi il blasone che i tifosi gialloblù possono ostentare con orgoglio nelle secolari lotte di campanile. Benché ridiamo sotto i baffi nel vedere il Vicenza in serie C, il derby ci manca, ma non possiamo che alzare un sopracciglio quando qualcuno propone di nominare Vicenza città italiana del calcio, tanto per dirne una.
A voler a tutti i costi trovare un paragone, l'impresa del Verona nel 1985 è paragonabile agli scudetti di Fiorentina (ma attenzione, quelli arrivarono negli anni Cinquanta e Sessanta), Cagliari e Sampdoria. Ma stiamo parlando di città capoluogo di Regione, non di provinciali. Se vogliamo parlare di bacino di utenza sportiva, mediatica, ed economica, l'unico vero scudetto eccezionale, al pari di quello del Verona, è quello del Cagliari, capoluogo di una Regione isolana, la Sardegna, che nel 1970 aveva meno abitanti della città di Milano.
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Quella del Verona di Bagnoli è, tanto per intenderci, un'impresa che in Italia non è riuscita nemmeno alla più ricca e attrezzata delle provinciali, il Parma di Tanzi, sul finire degli anni Novanta. Passati quarant'anni, possiamo dire a maggior ragione di essere stati testimoni di un evento unico per il nostro calcio. Immaginare oggi uno scudetto che finisca in una città di Provincia, lontana dai grandi capitali spesi in barba ad ogni fair play finanziario, senza appoggio della stampa nazionale, e di poco o nessun interesse per un movimento irrimediabilmente proiettato verso un futuro fatto di campionato europeo delle big, è già arduo di per sé come pensiero.
Sappiamo tutti che è passata un'era geologica dalla strepitosa annata 1984-85, il tempo sbiadisce le foto, corrompe i ricordi, ma lascia intatte certe sensazioni legate alle emozioni vissute. Ognuno dei tifosi del Verona che abbia avuto la fortuna di vivere la stagione dello scudetto porta dentro di sé almeno un ricordo particolare che appiattisce la prospettiva temporale. Magari il momento esatto in cui ha avuto la sensazione che era l'anno giusto, al di là delle dichiarazioni da pompiere di Osvaldo Bagnoli.
L'estate del 1984 vede l'Italia sul divano a guardare l'Europeo di Francia. La Nazionale di Bearzot, campione del Mondo in Spagna nel 1982, ha raccolto figuracce una dietro l'altra in un girone di qualificazione tutt'altro che impossibile, arrivando addirittura quarta su 5 partecipanti, davanti solo a Cipro, con cui ha colto l'unica vittoria del girone in 10 gare. Una disfatta sportiva che non ammette attenuanti, ma solo la cecità della Federazione consentirà a Bearzot di portare nuovamente in gita premio i campioni di Spagna, per un altro biennio, fino a Messico '86.
Tuttavia i vertici federali corrono al riparo con l'unica misura che conoscono: il blocco agli stranieri, di nuovo. Scatterà il 31 luglio 1984, per 3 anni le squadre italiane non potranno più contrattare giocatori stranieri provenienti da altri campionati, ma potranno solo acquistare quelli già militanti in Italia in altre squadre. Faranno eccezione solo le neopromosse dalla serie B. Decisione cervellotica, destinata comunque ad alzare ulteriormente il livello della campagna acquisti delle squadre italiane nell'estate del 1984. Si deve comprare bene, e con un piano di medio raggio.
Il Verona non può definirsi una favorita per il titolo, ma negli ultimi due anni ha fatto grandi cose, conquistando un quarto posto con qualificazione alla Uefa, e un sesto posto. Ha giocato, con scarsa fortuna, due finali di Coppa Italia. I nomi che vengono accostati al Verona anche sulle prime pagine dei quotidiani sportivi nazionali fanno capire che la piazza è diventata di primo rilievo anche per l'attenzione mediatica. Socrates, Brady, Gomes (attaccante del Portogallo, scarpa d'oro con il Porto, a lungo inseguito dal Milan ma che non arriverà mai a giocare in Italia) sono alcuni dei nomi che vengono associati al Verona nell'estate.
Alla fine arrivano comunque due ottimi innesti: il tedesco Briegel e il danese Elkjaer, che ha entusiasmato gli sportivi con la sorprendente Danimarca all'Europeo vinto dalla Francia di Platini. A loro, che arrivano ad integrare una rosa già affiatata, e che nella stagione precedente ha fatto praticamente tutto senza gli stranieri (Zmuda oggetto misterioso, Jordan utilizzato come riserva al duo Iorio – Galderisi), Osvaldo Bagnoli troverà una collocazione tattica perfetta.
Fare un salto indietro di quarant'anni significa anche ammettere che non solo il calcio, ma anche la società, è cambiata radicalmente. I campionati europei, così come il Mundial di Spagna due anni prima, si seguivano sì alla televisione, ma spesso al bar, o alle feste paesane che riempivano i paesi d'Italia. Oggi, qualsiasi evento sportivo è prima di tutto occasione per battaglie sui diritti televisivi, con pacchetti che invitano chiunque a vedersi le partite comodamente da casa per un replay filmato da 80 angolazioni diversi. Andare allo stadio, al giorno d'oggi, sembra diventato superfluo per il mondo del calcio, anche se le partite con gli stadi vuoti durante il covid qualche messaggio lo hanno lanciato.
Nel 1984 i ragazzi giocano ancora a pallone per strada, nelle piazze, nei giardini, davanti ai portoni delle chiese, in qualunque posto ove riescano ad evitare rimproveri o il rischio di mandare in frantumi preziose vetrate. All'epoca avevo 11 anni e, nonostante già non mi piacesse affatto la Signora, studiavo le punizioni di Platini e le ripetevo nei campetti improvvisati, con risultati molto opinabili. Gli stranieri avevano quel fascino della novità che non poteva lasciare immuni i ragazzi dell'epoca, ancora abituati ad una società con pochissimi immigrati. Trovare la figurina di Elkjaer, di Rumenigge o di Passarella era qualcosa di speciale.
Nel 1984 la finale di Coppa Campioni giocata a Roma offre il peggio di sé fuori dallo stadio dove gli scontri fra opposte tifoserie provocano un morto e diversi feriti. Non abbiamo ancora visto il peggio, che succederà un anno dopo, all'Heysel durante la finale fra Juventus e Liverpool. La violenza negli stadi in tutta Europa è un problema che forse solo la decisione di inibire le squadre inglesi dalle Coppe permette di affrontare senza ulteriori ritardi.
Sullo scudetto gialloblù è stato detto tutto, o quasi. Tuttavia è come un romanzo ben scritto, dove non interessa solo sapere come va a finire, ma ogni volta che lo si rilegge si catturano dei particolari nuovi. Attraverso il dossier di Massimo potremo rivivere, passo dopo passo, la cavalcata trionfale verso il tricolore, e aiutare la memoria a districarsi fra le insidie del tempo. Lo facciamo volentieri, ognuno con la propria motivazione, consapevoli che non si vive di soli ricordi, ma che la storia, anche quella sportiva, passa per tante strade. A volte si ferma in Provincia.
Tanti tifosi hanno vissuto quelle giornate in prima persona, e possono dire «Io c'ero». Poi ci sono quasi due generazioni di tifosi gialloblù che non hanno potuto vedere la vittoria del Verona, o erano troppo piccoli per ricordare compiutamente. Anche a loro è dedicato questo dossier.
Buona lettura!
Paolo
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