Ci sono momenti, nella vita, nei quali ti accorgi di essere andato oltre. A partire da quel momento nulla sarà più come prima. Perchè TU non sei più quello di prima. Sono momenti particolari, intensi, drammatici, ai quali sei sempre impreparato e che non riesci a cogliere completamente. Il nostro Verona, dirigenti giocatori e tecnici, si è imbattuto in un episodio incredibile nella sua fatalità e drammaticità durante uno degli innumerevoli trasferimenti da una parte all'altra dell'Italia. Sono stati attimi di grande apprensione sia per i tifosi che per le famiglie fortunatamente risolti solo in un grande spavento e qualche acciacco fisico. Ma chi li ha vissuti e li può raccontare sa di essere diventato una persona diversa.
LA TRAGEDIA La data fatidica è quella del 15 aprile 1978. Il Verona, dovendo affrontare all'Olimpico la Roma e non potendo raggiungerla via aereo per le avverse condizioni meteo che stavano martellando il Nord da alcuni giorni e che avevano cancellato i voli da Villafranca, decise di effettuare la trasferta via treno. Il presidente Garonzi scelse "La Freccia della Laguna", un treno all'avanguardia, per raggiungere la capitale. Ci avvaliamo, a questo punto, della ricostruzione fatta dal giornalista Stefano Greco per capire cosa è successo.
Il Verona rischia di entrare nei libri di storia, come il Grande Torino o il mitico Manchester United. Non per un'impresa calcistica, ma per una tragedia ferroviaria. L'intera squadra, infatti, viaggia sulla "Freccia della Laguna". A Murazze di Vadeo, a causa dello smottamento di una collina, il locomotore dell'Espresso 572 bis, Bari-Trieste, proveniente da sud, deraglia finendo di traverso sui binari della direttrice Nord-Sud. In pochi attimi si consuma la tragedia: uscito da una galleria, bucando la pioggia a centodieci chilometri orari, il rapido "La Freccia della Laguna", con quattrocento persone a bordo, incontra sulla sua traiettoria l'altro treno riverso sui binari. L'impatto è devastante. I resti disintegrati delle motrici e le prime carrozze del rapido volano nel vuoto sbriciolandosi, dopo un volo di 20 metri. Le carrozze retrostanti scivolano lungo la scarpata. L'Espresso Bari-Trieste invece rimane sui binari, immobile, col suo carico di passeggeri, sotto shock, ma incredibilmente illesi. Solo la locomotiva viene dilaniata dall'urto.
I quattro macchinisti muoiono sul colpo. Dei loro corpi, orrendamente straziati, tra lamiere contorte e terriccio, vengono ritrovati solo brandelli di carne e ossa, mescolati a pezzetti di tuta blu. Il bilancio è tragico: 48 morti e 76 feriti.
Ai piedi della scarpata, parallela alla ferrovia, corre l'Autostrada del Sole. Gli automobilisti vedono le carrozze volare dall'alto verso di loro e danno immediatamente l'allarme. L'autostrada del Sole viene immediatamente chiusa al traffico. In pochi istanti, quindi, l'Italia si trova praticamente divisa in due, bloccata sia su strada che su rotaia.
Sono le ore 13 e suona la campanella che chiama il primo turno di prenotazione del pranzo nel vagone ristorante, i giocatori del Verona, dai vari scompartimenti, si trasferiscono nella carrozza numero 6 posizionata a metà treno. Che fatalità! Nella drammatica ricostruzione fatta da Spinozzi (non si può morire a 24 anni), si aggregano anche un bambino di Verona che aveva appena chiesto l'autografo ai suoi beniamini e la mamma che non voleva lasciarlo solo: fu quella la salvezza per entrambi.
L'impatto fu devastante, alcuni pensavano che si fosse trattato di un attentato terroristico (un mese prima le Brigate Rosse avevano rapito lo statista Aldo Moro), altri allo scontro con un altro treno. Molti, semplicemente che stavano per morire. Mister Valcareggi, nella collisione, si incrinò alcune costole, Fiaschi fu balzato fuori dalla carrozza e con Logozzo dovette ricorrere alle cure mediche: al centrocampista fu fasciata la spalla, al difensore la mano destra. Ma il pericolo occorso e lo spettacolo di morte che si trovarono di fronte furono devastanti.
IL RECUPERO Io penso che sul piano psicologico, e quindi anche dal punto di vista del rendimento, la squadra risentirà del disastro di Bologna disse alla stampa mister Valcareggi. Non fu così, ve lo assicuro. La gara fu spostata al mercoledì pomeriggio successivo ed io, che all'epoca abitavo a Roma, non volli perdere per alcun motivo l'incontro. Mi recai allo stadio direttamente dal liceo, con i libri di latino e greco nello zainetto, per sostenere ancora più da vicino i miei amati colori.
La Roma passò in vantaggio grazie ad un autogol di Esposito che deviò con lo stinco una conclusione di Conti verso la fine del primo tempo. Il Verona, dopo il riposo, si riorganizzò e reagì pareggiando meritatamente con tiro di capitan Mascetti al termine di una bella triangolazione con Esposito. La partita si mantenne viva ed equilibrata, ma nel finale i giallorossi cominciarono a premere perchè per loro era assolutamente necessario ottenere i 2 punti per non essere risucchiati nella zona retrocessione. A pochi minuti dal termine, capitan Santarini commise un fallo di mano non rilevato dall'arbitro, la palla ribattuta finì in corner battuto da Bruno Conti proprio per la testa di Santarini che segnò in rete tra le vibrate contestazioni dei gialloblu. Che sfortuna!
Oddio, parlare di sfortuna dopo quello che era appena successo non ha alcun senso. Il grande Zigoni, ex di turno insieme a Superchi, al termine della partita disse di sentirsi letteralmente svuotato, che erano tre notti che non dormiva e che lo shock è ancora vivo per quanto ci è capitato. Una partita di pallone si può perdere o vincere all'ultimo minuto per colpa di un episodio o un errore, ma l'ammettere che tutta la nostra vita è in balia del caso, che siamo guidati e tenuti insieme da episodi, coincidenze, casualità fa molto riflettere. Sul significato di ciascuno di noi e di quello che facciamo.
Massimo