Premessa. A partire dalla fine degli anni 70 le trasferte di Bologna hanno dato ben poche soddisfazioni ai nostri colori, culminate nella tragicomica sconfitta per 6 a 1 della stagione 96/97. Tra l'altro, in più di una circostanza ci siamo trovati a dover affrontare i padroni di casa in crisi, con allenatore e giocatore contestati e desiderosi rimettere a posto classifica e morale proprio contro il Verona. E noi, diciamo così, siamo stati molto sensibili nei riguardi delle difficoltà bolognesi. Ora, visto che la rubrica richiama circostanze storiche che sembrano oggi molto attuali, non ho alcuna intenzione di portarmi sfiga da solo. Ecco perchè mi sono messo a riparo raccontando una vicenda umana. Che merita davvero il nostro rispetto.
L'uomo è un animale con incredibili capacità di digestione riguardo ciò che accade intorno a lui. Ciascuno ha perfettamente presente cosa è avvenuto ad Utoya, la bomba di Brindisi, la Costa Concordia. Ne è rimasto coinvolto. Poi però si è rimesso in moto, scrollandosi di torno il peso ed ha ricominciato ad affrontare le cose della vita come se nulla fosse e come se mai più potranno succedere di nuovo cose del genere.
Questo è un bene, per carità. Rimanere schiacciati dalla paura del dolore e dall'oppressione del caos toglie ogni possibilità di sentirsi liberi e padroni del proprio destino. Però è importante che la memoria ogni tanto riemerga e recuperi qualche storia senza lieto fine, non tanto come ammonimento, quanto piuttosto per farci apprezzare di più il presente. Quanto noi e i nostri cari siamo fortunati.
Tazio Roversi, il biondo, è stato una bandiera del Bologna. Ha vestito la maglia rossoblu la bellezza di 341 volte lungo 17 stagioni. Meglio di lui solo Bulgarelli e Reguzzoni. Ha scritto sul campo la storia tra il 1963 e il 1979 vincendo 1 scudetto, 2 Coppe Italia, 1 Torneo Anglo-Italiano. Persino una presenza in Nazionale (attenzione, era l'epoca di Burnich e Facchetti e in quel ruolo non ce ne era per nessuno). Sul più bello però, quando l'età e l'onorata carriera potrebbero - anzi dovrebbero - consentire di raccogliere cassa e chiudere in bellezza, gli dicono che lì non c'è più posto per lui, che è in atto un ricambio generazionale e che deve recuperare altrove i postumi di un intervento al menisco. In poche parole, quello che è successo con Del Piero alla Juventus. Solo che allora l'Australia non esisteva e Verona, per un mantovano di Moglia figlio di macellaio, poteva essere una buona soluzione.
La squadra gialloblu era stata rivoluzionata dopo la retrocessione in B ma confusamente assemblata, piena di giocatori dal grande passato (Fedele, Boninsegna e il nostro Tazio), di bandiere gialloblu al tramonto (Superchi, Bergamaschi, Franzot, Piangerelli, Mascetti) e di giovani di talento ancora però troppo giovani (Vignola, Tricella); tutti consegnati ad un allenatore istrionico ma dalle dubbie capacità di concretezza come Veneranda. Troppa disorganizzazione, troppa presunzione, troppi galli nello stesso pollaio. Fu un'annata fallimentare: si sperava nella facile risalita, finì con una modestissima salvezza. Tazio, tra un problema fisico e l'altro, fece il proprio dovere giocando 12 volte con l'immancabile maglia numero 2 sulle spalle, anche se nelle prime partite venne chiamato a ricoprire, grazie all'esperienza e al senso della posizione, anche il ruolo di libero.
L'anno successivo arrivò Cadè, un tecnico amante del calcio alla moda, ed importò a Verona la zona pura di estrazione olandese. Nuova rivoluzione di organico, ricerca di gente affamata e desiderosa di mettersi in gioco. Tazio c'è ancora, per quanto possibile (solo 9 presenze). Ma non il resto dei compagni e anche la guida tecnica lasciò a desiderare: ci salvammo praticamente all'ultima giornata tornando a fare il vecchio calcio all'italiana che faceva parte del nostro DNA. Noi siamo italiani, mica olandesi.
In estate salutò tutti e si recò a Carpi, in serie C, a chiudere la carriera.
Ma uno così, uomo calcio per eccellenza, non può stare lontano dal pallone. Piuttosto alleno i ragazzini, diceva. Ed ecco che, come un rimorso che porta giudizio, quelli del Bologna si ricordarono di lui e gli affidarono le giovanili. C'è una giustizia a questo mondo. Ma c'è davvero?
Nell'85, durante un allenamento, Tazio venne colto da una crisi epilettica. E qui la cronaca:
"Zinetti, il portiere del Bologna, si accorse immediatamente che stava per ingoiare la lingua e si precipitò a ricacciargliela fuori. Poi lo portarono all'ospedale e i primi accertamenti sembravano scongiurare ogni problema".
Ma dopo venti giorni il fenomeno si ripetè ancora e gli ulteriori accertamenti evidenziarono una macchiolina al cervello in prossimità del centro motorio. Era l'inizio del tumore che nel 1999 lo porto' alla morte,dimenticato dal mondo del calcio ma non dai tifosi.
Aveva solo 52 anni quando ci ha lasciato. L'ennesima morte sospetta che ha colpito tra gli altri Mattolini, Longoni, Sforzi, Saltutti, Beatrice, Rognoni, Fiorini, Buso, Vincenzi, Lombardo, Signorini e via discorrendo.
Roversi non è stato un giocatore molto importante per noi, per la nostra storia, lo abbiamo conosciuto calcisticamente solo alla fine del suo percorso. Non abbiamo potuto apprezzare a pieno le sue capacità, la sua grinta, il suo talento. Fa però pensare di lui il fatto, che in piena rivoluzione di organico e mentalità, il Verona lo abbia confermato, nonostante i noti problemi fisici. Perchè era facile rendersi conto della sua profonda umanità, del senso di spogliatoio e del suo carattere d'acciaio. Un pezzo di salvezza, nell'81, è stato anche merito suo.
Tuttavia, in occasione della prossima trasferta di Bologna, ho sentito l'esigenza di ricordare la sua storia e recuperare la memoria di un evento lontano. Come la bufera che si scatena oltre il confine e che per noi è solo un colpo di vento.
Massimo
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