dal nostro inviato Massimo
Ricomincia il Campionato più bello del mondo a campi invertiti. La Storia vuole che il percorso si ripeta al contrario per decretare chi è davvero meritevole a raggiungere il successo finale. Un giro, da solo, non basta. Come nella vita i colpi di fortuna. Il Verona scende nuovamente in Campania, ma si ferma a Napoli contro Maradona per la sua rivincita: questa è la difficilissima partita di oggi. Nel frattempo, dagli altri campi, l'Inter regola di misura l'Atalanta (Sabato) e vola a quota 23; il Torino non va oltre il pareggio contro il generoso Ascoli (Cantarutti, Schachner, Dirceu e Sclosa) e viene raggiunto a 21 punti dalla Roma che supera di rigore l'Avellino (Pruzzo). Infine la Sampdoria, un punto dietro, pareggiando a Cremona si tiene in corsa. A Udine esordisce un certo Paolo Maldini, 16 anni, esempio assoluto di bravura, figlio del grande Cesare e parte di una generazione di talenti. La classifica è quindi spezzata in 3 tronconi: il vertice con le squadre sin qui citate, il fondo con Lazio, Ascoli e Cremonese in triste solitudine a lottare tra loro, in mezzo tutte le altre, squadre deluse alla ricerca di recuperare un campionato finora anonimo. Per noi, quello che più conta: riuscirà il Verona a mantenere la vetta della classifica?
NEVICA OVUNQUE. Il maltempo continua ad imperversare e a lasciare ricordi indelebili. L’intera Valpadana, Milano compresa, è immersa sotto un manto di neve che arriva a toccare i 70 centimetri. L’immagine dei milanesi alle prese con le pale per liberare le strade diventa un’icona di questo incredibile inverno 1985, ricordato come il più freddo e nevoso del XX secolo. Nevica abbondantemente anche a Roma e a Napoli, per la disperazione delle migliaia di terremotati ancora alloggiati nei containers. Le difficoltà sono ovunque, il nostro Paese non è preparato ad affrontare condizioni simili. L'eccezionale fenomeno scatena polemiche e i disagi si ripercuotono per giorni. Il campionato, tuttavia, non si ferma.
UN PERCORSO E DUE EMOZIONI. In tutte le puntate precedenti ho cercato di dare sempre una certa attenzione all'avversario di turno trattando non solo il valore e i contenuti tecnici, ma anche quello che i loro tifosi si aspettano. Questo, da una parte, mi ha permesso di crescere ulteriormente il valore dell'impresa gialloblù, dall'altro di proporre un concetto di calcio meno esasperato in quanto portato a comprendere culture e passioni differenti. Sarà dovuto al fatto che, per necessità di vita prima e di lavoro poi, sono stato costretto a girare l'Italia in lungo e in largo consentendomi di smentire, con i fatti, alcuni luoghi comuni e di comprendere in questo modo alcune differenze che distinguono.
In particolare oggi, con un pò di nostalgia, affronto la trasferta di Napoli, città dove ho vissuto (in parte sofferto ma anche molto gioito) 10 lunghissimi anni, terra dove sono nati i miei due figli e dalla quale ho ricevuto anche molto affetto. E poi c'è Maradona, il più grande giocatore del mondo e, forse, il più piccolo uomo che sta in Terra. Mi limiterò pertanto a trasmettere solo un paio di emozioni, rigorosamente di carattere sportivo, che spiegano almeno in parte cosa rappresenta il calcio da quelle parti. Abbiate pazienza.
Comincio con il tifo del San Paolo, quartiere Fuorigrotta, pochi passi dalla stazione ferroviaria Campi Flegrei. Questo stadio, anni dopo, verrà intitolato al suo giocatore più famoso. Oggi sono presenti 80.000 persone colorate di azzurro, della stessa tonalità del cielo e del mare che a Napoli hanno entrambi un significato particolare, a cantare «Oi vita, oi vita mia!» e a saltare come un'onda che cresce e poi sale e poi scende nuovamente e si ricompone. Un mare umano. E' festa, è sempre festa allo stadio. Ma questa intensità, la vivi solo qui e all'Anfield Road di Liverpool quando senti «You'll never walk alone!» intinto nel colore più rosso che possa mai esistere. E in entrambi gli stadi, perdi la tua dimensione singola e ti perdi in questi colori intensi. A meno che – come me - non sei orgogliosamente e tenacemente legato ad altre origini e ad altre tinte. Ma lo spettacolo rimane.
Concludo con Diego. Sulle sue magie, sul suo carisma in campo e nello spogliatoio tanto si è scritto e filmato. Racconti talvolta stupefacenti (scusate il gioco di parole…) e talvolta incredibili. Tutto vero! Assolutamente. Ma lo spettacolo più alto che sono riuscito ad assistere e del quale non potrò mai dimenticare un solo istante è una semplice seduta di allenamento al centro sportivo di Soccavo, senza la tensione della gara. Maradona, quel pomeriggio, fu l'ultimo ad entrare in campo e l'ultimo ad uscirne, reduce da un intenso lavoro in palestra. Dopo qualche annoiata corsetta per sciogliere i muscoli si fermò davanti ad una ventina di palloni lasciati a sua disposizione. Quello che è accaduto a partire da quel momento non può essere descritto: immaginate la palla come il prolungamento di se stesso, affettuosa e insaziabile. Immaginate anche il piccolo campione che la lancia proprio dove vuole lui veloce o lenta, d'effetto o morbida, e lei sempre ubbidiente e ruffiana a servizio del suo padrone e signore assoluto. Se qualcuno ha un po' di fantasia per ipotizzare queste cose, è ancora lontano dalla realtà. Purtroppo per lui e per noi che non lo possiamo vedere più. Una sessione di allenamento di fronte a Maradona è uno spettacolo nello spettacolo.
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LE ALCHIMIE DELLA GARA. Torniamo ai nostri doveri e alle motivazioni per le quali oggi ci troviamo qui. Tutta la settimana è stata caratterizzata dalle pressioni della "grande stampa" che finalmente vedeva quello che ha sempre voluto vedere. Il Verona sta rallentando la sua corsa, gli uomini di Bagnoli sono stanchi e tutti dobbiamo essere grati per lo spettacolo offerto finora. Ma adesso debbono farsi da parte. C'è l'Inter di Rumenigge e di mezza nazionale pronta a spiccare il volo. Del resto, l'abilità nerazzurra è stata finora quella di girare sempre in prossimità dei primi posti di classifica nascondendosi con accortezza e facendo eliminare tra loro le altre pretendenti. Intorno adesso ci sono solo formazioni simpatiche come Verona, Torino e Sampdoria del tutto prive di esperienza e di spessore per poter vincere il Campionato. E' vero, la Roma sta tornando (è a soli 2 punti) ma le altre grandi (Juventus e Milan) sono frenate dai loro rimpianti. Idem il Napoli, del resto può un giocatore vincere da solo? Il Campionato 1984/85 è in mano all'Inter. Gli altri sono avvisati.
Il Verona arriva tra mille difficoltà: i risultati non arrivano più come prima e il gioco fatica; le assenze di Ferroni dietro e soprattutto di Elkjaer davanti limitano molto le prestazioni in campo; la panchina è corta; l'eccesso di alta quota sta facendo mancare l'ossigeno ai giocatori. Oggi, per fortuna, Bagnoli recupera Galderisi al centro dell'attacco e convoca anche i convalescenti Elkjaer e Ferroni in panchina. Ma c'è da affrontare il pericolo Maradona e non si può sempre sperare in una grande prestazione di Briegel per fermare il fenomeno argentino.
Ma quello di fronte a noi non è neppure il grande Napoli di Maradona che verrà solo a partire dalla prossima stagione: in campo ci sono giocatori alla fine della loro carriera (Castellini, De Vecchi, Penzo, Boldini) e altri di modesto valore (De Simone, Marino, Caffarelli). Dopo la rivoluzione estiva di Ferlaino, la rosa verrà rinforzata in modo tale da dare sostegno adeguato alla sua star e che in seguito conquisterà 2 Campionati e una Coppa Uefa: Renica, Pecci, Giordano, Buriani e il nostro Garella approderanno a luglio a Mergellina guidati da Ottavio Bianchi per imporre qui il nuovo centro di potere nel Campionato Italiano.
MINUTO PER MINUTO. Il Napoli attuale è modesto e il Verona in affanno. Si gioca sulle reciproche fragilità. I primi 20' minuti sono bloccati a centrocampo per la paura di entrambi di sbagliare e di compromettere così il risultato finale.
Al 21' Fanna crossa per Galderisi che batte Castellini da pochi passi: l'arbitro Pairetto annulla per fuorigioco. Giusto? non so.
Replica immediatamente il Napoli con una azione analoga: Bertoni lancia Caffarelli che batte Garella. Ancora fuorigioco e ancora un gol annullato.
Il tempo si chiude con una legnata di De Vecchi che sfiora il palo. E' parità in tutto, nel brutto gioco espresso in campo e nella paura di sbagliare.
Bagnoli incita i suoi: Maradona si vede poco nuovamente annullato da Briegel e Tricella, i suoi compagni pure: proviamo a vincere. Fanna ubbidisce e si trova subito un pallone d'oro a pochi passi dalla linea di porta ma non riesce a coordinarsi. Peccato!
A questo punto, però i padroni di casa si svegliano e chiudono il Verona in difesa chiamando in causa il nostro portiere ad ergersi protagonista dell'incontro: al 59' Maradona chiama Garella al miracolo su calcio di punizione; 2 minuti dopo Dal Fiume ci prova da lontano ma lui c'è ancora; al 79' nuova punizione di Maradona e nuovo miracolo di Garellik; all'ultimo minuto, infine, grande respinta su Bertoni lanciato in rete.
Risultato finale: Napoli 0 – Garella 0. Ci volevano altre prove perché qualcuno lo volesse l'anno prossimo qui a Napoli? Però, a fine partita, il mister gialloblu non ci sta (grande furbizia questa) e manda a quel paese il telecronista Enrico Ameri durante «Novantesimo minuto»: la squadra è composta da 11 elementi e il compito di un portiere è proprio quello di parare. Amen.
Nota finale ma fondamentale. Per cercare di rompere l'assedio azzurro, Bagnoli al 64' fa entrare in campo Elkjaer al posto di Di Gennaro, un pò giù di corda. L'ariete danese prende il suo posto in attacco in compagnia di Galderisi, lasciando a Bruni il ruolo di regia ma è come se non ci fosse, troppo lunga la convalescenza e troppo fresco l'infortunio. La mossa del mister ha esclusivamente un valore psicologico.
Nel finale, anche Donà fa rifiatare Nanu. Dopo due partite nelle quali abbiamo preso gol negli ultimissimi minuti non è proprio il caso di rischiare.
IL SIGNIFICATO DELLA PARTITA. Sulla carta due buone notizie e una cattiva: il Verona ritrova se stesso e resiste al Napoli di Maradona. Si rivede Elkjaer. Ma oggi, per la prima volta dall'inizio dell'anno, non è più solo in testa alla classifica.
La prima buona notizia è corretta. Forse Avellino è stato il momento peggiore, il fondo della crisi e da lì siamo ripartiti. I giocatori stanno ritrovando loro stessi. E il timore dell'Inter ha fatto il resto.
La seconda notizia invece è un falso clamoroso: Elkjaer, come Ferroni, non è assolutamente recuperato. Anzi ci vorranno ancora 15/20 giorni per vederlo regolarmente in campo: mezzora con qualche scatto e qualche urlo. Tutto qui. Ma il trucco di Bagnoli è bastato a raddoppiare gli sforzi dei giocatori in difesa e la loro concentrazione: ora sono stremati, preoccupati e arroccati intorno al loro grande capitano Tricella e all'incredibile Garella ma sanno anche che possono farcela. Elkjaer è come l'eroe spagnolo El Cid che incuteva terrore ai Mori anche da morto, un mito vivente insomma.
Dell'Inter infine, a pari punti in testa alla classifica, non ce ne frega niente. Il Verona doveva affrontare due difficili trasferte in Campania e così è stato. La prossima settimana tornerà finalmente al Bentegodi contro l'Ascoli, un avversario non impossibile, mentre i nerazzurri verificheranno a loro volta cosa significa giocare ad Avellino. E poi, parliamoci chiaro, il Verona non vincerà mai questo scudetto, non ne ha la forza. Questo lo sanno tutti.
Sono felice oggi, ho ritrovato una squadra compatta e questo è davvero un risultato importante. I ragazzi di Bagnoli, sorridenti, prendono l'aereo da Capodichino e se ne tornano sereni a casa. Io invece rimango ancora un pò a godermi Napoli. Roberto e Vania, Susy e Katty, Gegè e Franco, Mike, Montella e Pasquale reclamano la mia presenza. E io la loro. Non parlate male di Napoli, se non sapete cosa significa.