«Abbiamo un piede in Europa!» Nessuno lo diceva, per scaramanzia, ma era come se tutti i tifosi dell'Hellas avessero una nuvoletta accanto, tipo quella dei fumetti, con scritta questa frase. A due giornate dal termine del campionato, con la vittoria di Cesena, il Verona rafforzava il 4° posto che non significava la sicurezza di entrare in una coppa Europea, ma quasi.
Qualche lustro fa la Champions League non esisteva e le tre Coppe Europee (Campioni, Coppe e Uefa), si spartivano abbastanza omogeneamente l'interesse dei media e, naturalmente, dei tifosi. Attualmente, alcune squadre sembrano partecipare alla coppa Uefa senza nessun entusiasmo, schierando le riserve e non prendendosela più di tanto se non passano il turno. In occasione di queste partite gli stadi sono semivuoti (non è che in campionato vada meglio, ma insomma...) e in generale, anche l'interesse dei media è molto blando. Qualche lustro fa le cose andavano molto diversamente: l'Europa, da qualsiasi porta si entrasse, era sinonimo di prestigio e di incassi assicurati. Il meccanismo per entrare nel «gotha» del calcio continentale era semplice: chi vinceva il campionato andava in Coppa Campioni, chi vinceva la coppa nazionale andava in Coppa delle Coppe e chi si classificava nei primi posti della graduatoria andava in Coppa Uefa, il torneo più lungo e massacrante al quale prendevano parte ben 64 squadre, il doppio rispetto alle altre due coppe. Ma come venivano distribuiti i posti disponibili per la Coppa Uefa? In base ad un calcolo piuttosto complicato, nel quale si teneva conto dei risultati a livello continentale delle squadre di ogni nazione, l'Uefa stilava annualmente una classifica di merito assegnando punti ad ogni paese proporzionalmente ai risultati delle proprie squadre di club. In questa classifica primeggiavano inglesi e tedeschi, che potevano contare su ben 4 posti disponibili per la coppa Uefa. L'Italia, invece, non era messa molto bene e poteva iscrivere solo 2 squadre. Nel campionato 1982-'83, per essere sicuri di giocare in Europa, bisognava quindi classificarsi almeno al 3° posto. Di solito però, considerando che la Coppa Italia era quasi sempre appannaggio di squadre di vertice, andava benissimo anche il 4° posto.
E infatti, il nostro Verona, alla fine di quell'esaltante stagione, riuscì a qualificarsi, per la prima volta, ad una «vera» Coppa Europea, dopo i vari assaggi di Mitropa, Coppa Rappan e vari tornei internazionali. La vittoria di Cesena fu il passo decisivo per quel 4° posto, e nel mio personale scaffale di ricordi quella partita occupa un posto importante. Il Verona, dopo aver giocato tre quarti di campionato alla grande, stabilendo il record di imbattibilità (17 gare senza sconfitte), stava passando un periodo di appannamento, peraltro prevedibile, che rischiava di compromettere la stagione. I segni di ripresa erano però evidenti e, in effetti, la truppa di Bagnoli aveva ancora molte emozioni da regalare in quel finale di stagione, soprattutto in Coppa Italia. La partita di Cesena non la vidi allo stadio. Era il 1° maggio ed era assolutamente impensabile chiedere a mio padre di fare una qualsiasi trasferta. La tradizione voleva che quel giorno si passasse interamente in «corte» dai nonni materni, a «brustolar» assieme ad altre decine di persone. In effetti, se non fosse per quella partita, non avrei ricordi particolari di nessun 1° maggio della mia infanzia, in quanto sembrano tutti un unico film con il medesimo soggetto e gli stessi attori. Bei tempi comunque, davvero. Anche se si viaggia verso il 5° lustro di distanza, il ricordo di questa vittoria, vissuta attimo per attimo grazie ai «microfoni gialloblu di Radio Adige» con l'incomparabile voce di Roberto Puliero, è ancora vivissimo nella mente. Quel giorno, nella corte dei nonni ci saranno state almeno 30 persone e, dopo il lauto pranzo a base di derivati suini, all'orario della partite, qualcuno accese l'autoradio, aprì le portiere, e si sintonizzò su «tutto il calcio minuto per minuto». Quel giorno si giocava Juventus – Inter, e fra i presenti, c'erano parecchi «simpatizzanti» delle due strisciate. Io volevo ascoltare il Verona e così, con in tasca la fedele radiolina giapponese dall'inimitabile (e indefinibile) odore che contraddistingueva quegli apparecchi ben più del design e delle prestazioni, mi allontanai lungo il fossato che costeggiava i campi con la dotazione classica dei miei dodici anni: canna da pesca in mano, sportina di nylon legata ai passanti dei jeans per metterci le prede, barattolo del caffè con il tappo forato per tenerci i vermi. Mi ci volle parecchio per trovarmi a tale distanza da non sentire il brusio fastidioso dell'autoradio e il vociare convulso di tutta la compagnia. Mi sedetti sotto una grande quercia, accesi la radio e cominciai a pescare. La partita era già iniziata da qualche minuto, il Cesena stava spingendo di brutto, sotto l'onda della disperazione: per i romagnoli, relegati al penultimo posto, la vittoria era d'obbligo per continuare a sperare nella salvezza. Non era una partita facile, tutt'altro, io speravo in un pareggio, per poi vincere la domenica successiva al Bentegodi contro il Napoli e, in perfetta media inglese, chiudere il campionato con un altro pareggio a Genova, contro la Samp.
Il Cesena spingeva, a testa bassa, senza logica e cognizione, il Verona teneva benissimo il campo e quando poteva giocava velocemente di rimessa. Io, nel frattempo, un pescetto dopo l'altro, riempivo il sacchetto di nylon. Alla mezzora i gialloblu confezionano un contropiede da manuale e Fanna va in gol. Bene, ma la partita è ancora lunga. Nel secondo tempo il Cesena si gioca tutto e si riversa anima e corpo nella metà campo gialloblu. Tuttavia, il Verona chiude benissimo gli spazi e praticamente non rischia mai, se si escludono un paio di animate proteste romagnole per qualche presunto fallo da rigore. Nessun dubbio invece, quando Dirceu viene steso in area: calcio di rigore che Nico «bomber» Penzo trasforma senza esitazioni. La partita sembra finita, anche perchè il Cesena è completamente disorientato e il Verona potrebbe addirittura infierire. Il pallone però è rotondo, e i padroni di casa riescono a trovare il gol che tiene aperta la partita. Fiato sospeso, tensione, ma alla fine il Verona vince e si porta, solitario, al 4° posto.
Io sono felice. In quel momento ho tutto quello che voglio e la primavera che esplode di forme, colori e vita, sembra venirmi da dentro. Quando l'orologio della prima comunione segna le cinque e mezza il sacchetto con i pesci è bello pesante, fra un po' inizia 90° minuto e quindi è ora di tornare in corte. Juventus – Inter è finita 3-3 (ma in seguito verrà assegnato il 2-0 a tavolino all'Inter per l'aggressione subita dal pulmann nerazzurro con ferimento di alcuni giocatori) consentendo alla Roma di allungare ancora il passo verso la scudetto. Embè? A me sinceramente non me ne frega nulla, il mio Verona «ha un piede in Europa», mia nonna sta pulendo i pesciolini che, stasera, ci sbaferemo fritti, assieme alla polenta avanzata dal pranzo. Posso desiderare qualcosa di più? Direi proprio di no...
Davide
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