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HELLAS VERONA / Scudetto

16 Dicembre 1984: LAZIO - VERONA 0 a 1

Hellastory: Scudetto

dal nostro inviato Massimo

Torino, Inter e Sampdoria non perdono un colpo e si avviano a lanciare l'inseguimento al Verona impegnato in 2 trasferte consecutive prima della sosta natalizia. Regolano con sufficiente disinvoltura rispettivamente Como, Cremonese e Avellino e attendono l'esito della gara dei gialloblù all'Olimpico contro la Lazio. Dopo quasi due mesi torno nello stesso stadio del bombardamento romanista, quello per intenderci che creò il mito di Garellik, con la medesima formazione di allora (mio padre alla mia destra, il sottoscritto e tutti gli amuleti e le sciarpe delle grandi occasioni), la medesima fiducia in Bagnoli e nei suoi ragazzi e con la speranza di portare a casa punti utili. Per l'occasione ho il posto riservato in Tribuna Monte Mario, quello dei vip, perché il Verona merita una visibilità completa al centro del teatro. Calma e concentrazione, lo spettacolo sta per iniziare.

TIFOSI SI NASCE. Sono sicuro che le mie prossime riflessioni non coglieranno gli amici di sorpresa.

Secondo me, chi ama «el balon» si muove, guarda le cose e pensa in un certo modo, completamente diverso. Sempre che l'idea stessa di pallone sia in grado di attivare cellule celebrali! Non associo la mia intuizione a un giudizio di merito (bugia: talvolta sì!), a valori morali specifici o a quozienti di intelligenza sopra o sotto la media: i tifosi sono fatti così e basta. Vanno d'istinto. Piangono e si deprimono con la stessa velocità con cui ridono e si emozionano. Basta un tiro riuscito male (oppure bene) e una porta profanata (oppure inviolata). Bene, anche se l'esercizio in questione può sembrare banale oppure sciocco, lo ripropongo in ogni occasione possibile e in particolare quando incontro una città che dispone di due squadre. E, in tutta la mia banalità, lo scopro come uno stereotipo che non riesco a smontare: a Torino i tifosi del Toro sono fatti in un modo e quelli della Juve in un altro. Li riconosci subito. Lo stesso accade a Genova. Più sfumata, e forse essenzialmente di natura caratteriale, è invece la differenza a Milano. A Roma, infine, dove il sangue è caldo per entrambe le tifoserie, gli occhi marchiano in maniera inconfondibile il colore del cuore dei propri tifosi.

Il romanista è il tifoso più diffuso in città: caldo e di pura origine romanesca, occupa il centro storico, la periferia popolare e una gran parte della media borghesia. Il laziale è più trasversale, risiede principalmente nella zona più ricca della città (Parioli, Monte Mario,l'EUR) e tutto l'hinterland regionale. Oltre a differenze sociali e geografiche, si potrebbero aggiungere anche quelle di orientamento politico. Ma questo argomento ci interessa di meno.

Anche allo stadio la distinzione è netta. Se gioca la Roma vieni così coinvolto e quasi soffocato dallo spettacolo e dal calore che offrono i supporters giallorossi che non rimani indifferente; se gioca la Lazio, sei più libero e puoi seguire lo spettacolo con maggiore serenità, rischiando al massimo qualche sfottò. C'è poi il tema che riguarda un'amicizia di vecchia data tra le due tifoserie e questo è già sufficiente per non avere troppi problemi.

LE ALCHIMIE DELLA GARA. Pulici; Petrelli, Martini; Wilson, Oddi, Nanni; Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia (24 reti su 30 gare), Frustalupi e Manservisi. Questa è la formazione della Lazio Campione d'Italia nella stagione 1973/74, guidata con abilità da Maestrelli e dal presidente Umberto Lenzini. Questa squadra, insieme al Cagliari del 1969/70 e alla Sampdoria del 1990/91 sono le uniche espressioni di poesia calcistica che accetto ancora oggi. Oltre al Maradona giocatore (infinitamente grande) e al nostro Verona, s'intende.

A Roma sponda laziale sono passati più di dieci anni dallo scudetto e quel meraviglioso orologio oggi non scandisce più ore di gloria. La tragica fine di Re Cecconi, quella di Maestrelli e l'abbandono del sor Umberto, hanno reso tutto molto più lontano, sbiadito come un ricordo. I tifosi biancocelesti hanno anche dovuto subire il recente ritorno in auge dell'odiata Roma (quella di Liedholm e del presidentissimo Viola) e una serie di guai societari e sportivi. Una maledizione, si direbbe.

Salvatasi per il rotto della cuffia lo scorso campionato, oggi la squadra dell'incomprensibile mister argentino Juan Carlos Lorenzo deve rispondere da una parte alla conflittualità interna allo spogliatoio e dall'altra al temperamento sfrontato di Chinaglia che, da grande giocatore e tifoso laziale, è diventato un piccolo Presidente. Senza soldi e senza idee non si va da nessuna parte. D'Amico, Manfredonia e Giordano sono i signori della Lazio e di mezza Roma: tutti ottimi giocatori e tifosi della loro squadra, ma hanno troppa personalità, quando invece ci sarebbe bisogno di carattere e umiltà. Per questo le loro carriere, sempre al confine tra «il grande e il medio giocatore», sono state limitate dall'attaccamento eccessivo a questi colori e dalla pigrizia di mettersi in discussione altrove. La comfort zone, si direbbe oggi, che protegge ma limita. La Lazio veleggia nei bassi fondi della classifica e in giro si vocifera di gravissime spaccature all’interno dello spogliatoio con la creazione di clan. Manca insomma un personaggio capace di ricucire i vari strappi al suo interno. Gli stranieri sono il brasiliano Batista, brutta copia di Falcao e Michael Laudrup, un giovane talento danese dirottato nella capitale dalla Juventus per poter maturare. Per il resto contano su discreti giocatori come Storgato e Spinozzi (ex di turno), Podavini, Filisetti, Orsi, Torrisi, Garlini e Calisti (futuro gialloblu). In definitiva, i nomi ci sarebbero pure per poter disputare un discreto campionato ma mancano l'idea complessiva di squadra e il sacrificio che questa comporta. E questo è un problema per una piazza impegnativa come Roma.

Capitolo Verona. Oltre ai soliti Ferroni ed Elkjaer (ancora infortunato e dirottato in panchina solo per fare numero e morale), a Bagnoli manca anche Briegel squalificato. I gialloblù si presentano così all'Olimpico con una formazione tutta italiana: Sacchetti sostituisce il panzer tedesco in mediana e Turchetta, nato a Latina e grande tifoso laziale, indossa la maglia numero 11 giocando finalmente nel suo ruolo più naturale, quello cioè di punta esterna. Per Garella, di ritorno all'Olimpico da avversario, questa è una partita con un sapore particolare: il Paperone che era stato così deriso da queste parti, oggi non esiste più. E' morto e sepolto per merito del suo impegno, della fatica e della maturità sportiva e caratteriale che sono poi le migliori qualità di un campione. Nel calcio come nella vita.

16 Dicembre 1984: LAZIO - VERONA 0 a 1

MINUTO PER MINUTO. Verona in completo giallo, parte subito all'attacco. Dopo 4' Galderisi sfiora il gol e subito dopo ci prova Sacchetti.

Al 15' la Lazio riesce a rompere l'assedio e D'Amico su punizione chiama in causa Garella, ma per il nostro portierone è un gioco da ragazzi.

Gli risponde dopo 10' una bomba di Di Gennaro su punizione di poco al lato e nel finale un contropiede di D'Amico si conclude di poco fuori.

Non è stato un gran primo tempo, il modulo dei padroni di casa, con una sola punta (Giordano) e 3 mezzali (Torrisi, D'Amico e Laudrup) molto amato in Sudamerica, non consente ai nostri di aggredire tutti gli spazi del campo. Il Verona è nettamente più forte dell'avversario, fa un gran possesso palla ma indubbiamente l'assenza di giocatori di peso come Briegel e Elkjaer si fa sentire. Buono il movimento di Sacchetti, Di Gennaro e Bruni a centrocampo per cercare di mettere in movimento i nostri 3 attaccanti. Il gol sembra poter venire fuori da un momento all'altro anche per via di alcuni clamorosi svarioni difensivi dei padroni di casa, ma c'è un po' di precipitazione nel momento di concludere. Bagnoli ha visto tutto e negli spogliatoi prende le contromisure.

Dal canto suo la Lazio non si accontenta e commette l'errore di sbilanciarsi in avanti per cercare di vincere: al 56' il mister toglie Storgato per il gioiellino di casa Dell'Anno. Storgato, ex terzino scuola Juve, uno degli eroi gialloblù di Belgrado, ha imparato da Bagnoli l'importanza degli spazi a centrocampo: con la sua uscita, il centrocampo gialloblu prende nettamente il sopravvento perché quello di casa non ha più filtro.

Al 60' azione da manuale dei nostri: da Di Gennaro a Sacchetti e quindi a Bruni, questi chiede il triangolo con Galderisi che gli ritorna il pallone a pochi passi da Orsi per la deviazione vincente. Ininfluente la deviazione di Podavini. In pochissimi secondi hanno partecipato ad un'azione tutta di prima 4 giocatori da una parte all'altra del campo. Proprio come in allenamento. Spettacolo puro, ma che obbliga a farci una domanda: e la Lazio, nel frattempo, dov'era? Mi ricordo, a questo punto una divertente scenetta: dal pubblico si alza un tifoso biancoceleste vicino a me che urla a Bagnoli e i suoi: «Mortacci vostri!». Immediatamente gli risponde un altro tifoso, posizionato poche poltroncine più in là. «Ma che stai a dì: mortacci nostri che nun semo boni de fermalli!» Come al cabaret.

Il Verona vuole chiudere la gara e Galderisi, il migliore in campo, semina ancora il panico tra la difesa laziale un minuto dopo.

La Lazio fa quello che può: Laudrup impegna molto Volpati, ma sempre lontano dall'area di rigore; Fontolan e Tricella annichiliscono Giordano e D'Amico ha già esaurito il suo limitatissimo fiato.

Bagnoli non vuole correre rischi inutili e al 71' toglie Turchetta, che esce tra gli applausi, con il legnoso mediano Donà e così il Verona passa dal 4-3-3 al 4-4-2. Eppure, sono ancora i nostri a comandare in campo: a 10' dalla fine Fanna vola a grande velocità sulla fascia, crossa alla perfezione per Galderisi ma una prodigiosa uscita di Orsi evita di un niente il gol del raddoppio.

Negli ultimi minuti, Lorenzo getta disperatamente nella mischia anche Garlini per tentare il tutto per tutto e Bagnoli fa esordire in serie A il fratellino minore di Marangon, Fabio al posto di Fontolan toccato duro. Non c'è niente da fare, mezzo Verona vale comunque più della Lazio.

IL SIGNIFICATO DELLA PARTITA. Quando gente come Bruni, Sacchetti, Turchetta e Donà trovano il loro spazio e riescono a dare un contributo concreto, vuole dire che c'è fiducia nello spogliatoio. Potrei discutere ancora sulla ristrettezza della nostra panchina, presentatasi all'Olimpico forte di 2 soli giocatori più il portiere e il solito giovanissimo Terracciano, ma chi se ne frega. Elkjaer non toglie mai la tuta e percorre la strada che conduce al sottopassaggio ancora zoppicando. Però il salto di gioia, al gol di Nanu, lo hanno visto tutti.

Il colpo dell'Olimpico è importante per il morale e la classifica. Dopo che Sampdoria e i Milan hanno pareggiato al Bentegodi, il Verona ha raccolto in trasferta vittorie importanti a Torino e in casa della Lazio. Questo significa che i gialloblù giocano ogni partita per vincere e non dipendono dallo stadio.

Domenica prossima, l'antivigilia di Natale, saremo di nuovo in trasferta a Como contro la rocciosa squadra di Bianchi. Recupereremo sicuramente Briegel e questo ci sarà molto utile. Sono convinto che chiuderemo il 1984 in testa alla classifica, con almeno con 1 punto di vantaggio.

Hellastory, 16/12/2004
Serie A 1984/85 | 12a giornata | 16/12/1984
SS LAZIO
SS LAZIO
0
  AC VERONA HELLAS
AC VERONA HELLAS
1
- marcatori 60' (aut.) Podavini
Orsi, Vianello, Podavini, E.Calisti, Batista, Filisetti (83' Garlini), D'Amico, Torrisi, Giordano, Laudrup, M.Storgato (56' Dell'Anno).   C.Garella; S.Fontolan (I) (87' F.Marangon (II)), L.Marangon (I), R.Tricella; L.Bruni, A.Di Gennaro, D.Volpati; P.Fanna, G.Galderisi, L.Sacchetti, F.Turchetta (71' D.Donà)
Lorenzo ALL O.Bagnoli
Podavini, Batista ammoniti D.Volpati, P.Fanna

Arbitro
C.Pieri (Genova - GE)
Note
SPETTATORI: paganti 36.164, abbonati 16.943. IL GOL PARTITA: dialogo Bruni-Galderisi, il centravanti tocca a rete ma Podavini intercetta il pallone e spiazza Orsi in uscita.



IL VERONA E' UN ASSET


Ogni passaggio di proprietà rappresenta per il tifoso la chiusura di un'epoca. Si perdono i riferimenti emotivi, si aprono nuove speranze, si teme sempre un po' anche per la competenza dei nuovi arrivati. Poi c'è il giudizio storico della (lunga) parentesi settiana definito dai suoi risultati sportivi, dalla permanenza in serie A, dallo spettacolo calcistico offerto (in termini di giocatori che lo hanno espresso e dei tecnici che lo hanno preparato), dall'immagine complessiva che ha ritratto il Verona sotto il suo comando. In tutto questo c'è soprattutto una stagione aperta e una salvezza da conquistare. Insomma, all'assalto del tifoso convergono tutta una marea di sensazioni nuove che eccitano ancora di più lo stato d'animo. Più una, alla quale non eravamo abituati: il passaggio da una proprietà individuale ad un fondo di investimento americano (private equity). Mettiamo subito in chiaro un punto: ogni passaggio di proprietà, a prescindere da quello che accadrà in seguito, è sempre un'ottima notizia. È sufficiente realizzare da una parte che il vecchio ha alzato bandiera bianca di fronte alla gestione del quotidiano, sempre più difficile da sostenere, e alla difficoltà di assicurare un futuro in linea con gli anni passati, soprattutto in un periodo economico caratterizzato dall'aumento dei costi e stressato dal Covid prima e dagli alti tassi di interesse poi. Dall'altra, il nuovo arriva con la certezza di fare bene portando con sé nuove risorse, entusiasmo e voglia di fare. Uscire al momento giusto poi aiuta tutti, tifosi compresi.

[continua]

Qual è stato il miglior gialloblu in campo in

Napoli-H.Verona?



Napoli    H.Verona


Belahyane R.

Bradaric D.

Coppola D.

Daniliuc F.

Dawidowicz P.

Duda O.

Faraoni M.

Kastanos G.

Lazovic D.

Livramento D.

Magnani G.

Montipò L.

Mosquera D.

Sarr A.

Suslov T.

Tengstedt C.


 


Riepilogo stagionale e classifica generale




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