Non si può non partire da lì: 5 Maggio 2002. Scende al «Granilli», la banda Malesani (con 2 futuri campioni del mondo in campo, uno in panchina e un fuoriclasse romeno). Bisogna muovere una classifica asfittica per non cadere tra i cadetti. Fino a quel punto, nel girone di ritorno, abbiamo conquistato la bellezza di 14 punti in 16 partite, le più, inguardabili (quel gol del torinista Franco, al Bentegodi, grida ancora vendetta). E sì che la squadra aveva cominciato giocando bene, il tasso tecnico non trascurabile e si arriva a parlare, apertamente, di zona UEFA. Poi il tracollo. Il Verona che va a Piacenza, per gli ultimi 90 minuti, è una squadra praticamente già condannata. Lo «spareggio» non ha storia. Il 3 a 0 finale segna una delle pagine più nere della storia gialloblù degli ultimi anni. Il tutto, davanti a migliaia di tifosi veronesi accorsi, con la consueta devozione, a sostenere i propri beniamini.
Di tutt'altro tenore un'altra retrocesione che si consuma nell'ultima giornata di campionato. Scorrendo a ritroso le pagine dell'Almanacco, ci fermiamo a Cesena (sempre la via Emilia a condannarci): è il 29 Aprile 1990, altra gara dentro o fuori. Quell'anno non si era di certo partiti con soverchie ambizioni, non c'erano grossi nomi e star internazionali, bensì vecchie glorie, ex campioni sul viale del tramonto, ragazzi in prestito, scarti di vario genere e sconosciuti in cerca di gloria. L'artefice di questo assemblamento fu Franco Landri, vecchio marpione del mercato (Mascetti era approdato alla Roma), costretto a ciò per questioni di bilancio, altrimenti il Verona non si sarebbe potuto iscrivere al torneo. Cedette tutta la rosa, panchina compresa: sedici giocatori e giocando con scambi e comproprietà (tornarono Fanna e Iorio) consegnò a Bagnoli diciotto giocatori per tentare l'impossibile. L'Osvaldo assistette senza reagire a tanto scempio e si mise disciplinatamente a disposizione dei suoi dirigenti pronto a guidare comunque l'organico che la società gli andava ad offrire (Ficcadenti docet). Come abbia fatto il tecnico a tenere unita quell'»armata Brancaleone» non è dato sapere, sta di fatto che i più ricordano che sia stata quella la stagione in cui è riuscito a realizzare il suo capolavoro più straordinario: altroché scudetto.
Ricordo l'intuizione che ebbe, per non prendere troppi gol, in una difesa schierata a «cinque», di far giocare uno molto vicino all'altro nel settore difensivo centrale Gutierrez, Sotomayor e Favero: una disposizione tattica che qualcuno chiamò «catezona».
E si arriva alla penultima giornata, dopo un campionato tribolato. In una drammatica sfida costellata di espulsioni, il Verona batte il Milan di Sacchi consegnando così lo scudetto al Napoli, in questo modo ha la possibilità di giocarsi la salvezza all'ultima giornata sul campo del Cesena, dove migliaia di veronesi li accompagneranno con la passione di sempre. Ma tutto è inutile: a dieci minuti dalla fine il «Condor» Agostini va a segno per i locali, condannando il Verona alla serie B.
Nonostante la sconfitta, i tifosi vennero conquistati dall'orgoglio e dal cuore gettati nella lotta dai giocatori e non mancarono di festeggiarli.
Bagnoli chiude qui la sua storia gialloblù. In B aveva preso il Verona e in B lo lascia dopo aver vinto lo scudetto. Anche questo, se vogliamo, è un record.
Ho voluto presentare le due situazioni, ancorché accomunate dallo stesso risultato, così diverse nel modo di ottenerlo.
Occorre classe anche nel retrocedere.
CARLO