Più che dare i numeri, riferiti allo scontro tra le due regine, con tutto il rispetto per la Ternana ovviamente, oggi mi preme buttar giù qualche considerazione e, se ci riesco, qualche emozione.
In effetti ogni confronto statistico con le altre 17 compagini del nostro girone è impietosamente a nostro vantaggio, forti del nostro passato e del nostro blasone (da rispolverare).
Mi limiterò, quindi, a qualche analogia e a qualche piccolo ricordo.
E' indubbio che, come anticipato da Massimo nella prima parte, le gestioni approssimative delle due squadre, negli ultimi tempi, che le hanno portate a recitare su palcoscenici non proprio consoni alle loro tradizioni, sia un primo innegabile punto d'incontro.
Ho dato un rapido sguardo alla storia calcistica del Pescara e bisogna rilevare che possono pur sempre vantare la partecipazione a 5 campionati di serie A e a ben 31 di serie B.
Una particolarità mi ha incuriosito: sull'Adriatico come da noi, del resto, vale la massima «facciamoci male da soli».
«Tutti divisi appassionatamente». Sembra proprio questo il destino del Pescara, una squadra che ha vissuto la sua epoca d'oro negli anni quaranta, quando l'utilizzazione massiccia di giocatori indigeni le attribuì il soprannome di «Strapaesana», emblema di un attaccamento ai colori capace di far aggio sulle qualità tecniche. Furono i dissidi interni a spezzare l'incantesimo: quelle stesse divisioni che si sono poi ripresentate puntualmente ogni volta che la squadra è riapparsa nei quartieri nobili del nostro calcio.
Qualche affinità con le vicende calcistiche scaligere nel corso degli anni c'è sicuramente.
Un inciso, per la cronaca, all'inizio degli anni settanta il Pescara era diventato famoso per un primato poco invidiabile, era riuscito in venticinque anni a fare ben trentatre cambi di allenatore.
Quando penso a questa squadra, non posso non ricordare Mario Giacomi e il suo assurdo destino, era in forza alla squadra abruzzese quando venne raggiunto dalla notizia della morte del fratello.
Lo allenava quell'anno Giancarlo Cadè, altra nostra vecchia conoscenza, che riuscirà a portare la squadra in serie A per la prima volta. Saltando qualche decennio possiamo menzionare anche l'esperienza in panchina di Nanu Galderisi nella stagione scorsa, in concomitanza con l'ennesimo cambio di proprietà.
Ma per finire questo breve, personale amarcord, mi piace parlare di una nostra giovane promessa che in riva all'Adriatico ha saputo cogliere grandi soddisfazioni: Stefano Rebonato.
E' lui, con 21 reti, nel torneo 1986/87 a portare in serie A la squadra di Galeone, che era stata costruita per la C, in quanto retrocessa l'anno prima, ma poi ripescata dopo la mancata affiliazione del Palermo. Quell'exploit lo lancerà nel grande calcio e l'anno successivo passerà alla Fiorentina.
Lo ricordo debuttare nel Verona, solo diciottenne, in un'anonima gara col Catania, al Bentegodi, nel novembre del 1980, lanciato da Cadè, ancora lui, nell'ultimo anno dell'era pre-Bagnoli. E sarà proprio il tecnico della Bovisa ad accompagnarlo nella sua ultima apparizione gialloblù, ma sarà un'occasione speciale: l'inizio dell'avventura europea del Verona in una calda serata di settembre del 1983.
Ospitiamo, per l'occasione, la Stella Rossa di Belgrado e a noi mancano Iorio che è squalificato e Jordan che è in precarie condizioni fisiche, il mister sceglie Rebonato per affiancare Galderisi in attacco. Penso che per lui non ci potesse essere occasione migliore per salutare quegli splendidi tifosi che quella sera si superarono.
Con una certa emozione mi tornano a memoria quei momenti e rivedo le Brigate gialloblù che, prima della partita, danno vita ad uno spettacolo nello spettacolo con l'accensione di migliaia di candeline come per la «prima» di un'opera in Arena.
Ed ora torniamo con i piedi per terra e raccontiamo altre storie.
11 Aprile 2009 - Stadio «Silvio Piola» di Novara è il 16' del primo tempo e Sinigaglia, sugli sviluppi di un corner, batte di testa il nostro portiere. Sono passati 7 mesi e la porta dell'Hellas da quel giorno è inviolata in trasferta, sembra impossibile.
Il Verona dunque non subisce reti fuori casa, in partite di campionato, da 794 minuti (254'+540‘), record per la squadra. Dati ad Ingrassia i 90 minuti di Cosenza, il «gatto» brasiliano che abbiamo tra i pali, fa arrivare la sua imbattibilità a 704 minuti, prestazione mai raggiunta da altri portieri gialloblù. E' bene rilevare che quando un estremo difensore riesce a far sì che il numero delle sue presenze sia superiore a quello delle reti subite, di norma è un atleta con senz'altro buona propensione al ruolo. La storia gialloblù di Rafael, ad oggi, parla di 87 caps a fronte di 83 gol subiti (0,954%). Faccio notare che ad inizio stagione lo score era 73 vs. 78 (1,068%).
Come contraltare segnalo, invece, un fatto abbastanza raro a verificarsi: nel penultimo campionato di A disputato (2000/01) quello dello spareggio di Reggio, Ferron e Doardo (più il primo, chiaramente, del secondo) sono riusciti a farsi infilare in tutte le 17 trasferte effettuate con la rispettabile media di 2 gol a partita (Ferron ne becca 32 in 16 gare, Doardo 2 in 1).
Continua, nel frattempo, la sequenza di partite utili. Siamo arrivati a 22 (10 + 12), a record conseguito, uno stimolo in più potrebbe essere quello di, quanto meno, eguagliare le 17 gare senza sconfitte, in un unico torneo, del Verona di Bagnoli 1982/83.
Le 3 reti subite in 12 incontri sono veramente un dato ragguardevole e mai avvenuto prima d'ora in casa Hellas.
Continua, sulla falsariga dello scorso torneo, la non concessione al Verona di rigori a favore e contro. Ricordiamo le «prime volte» del campionato passato: il primo a favore è il «cucchiaio» di Tiboni al Legnano alla 14^ giornata, mentre il primo contro, addirittura alla 20^, è siglato da Cammarata a San Benedetto del Tronto.
Se non stupisce lo 0 contro, frutto di un assetto difensivo finalmente efficace, capisco meno lo 0 a favore dato il gran volume di gioco espresso dai nostri in fase offensiva.
Mi piace rimarcare anche la correttezza dei nostri giocatori che fino a questo punto hanno subito un'unica espulsione (Rafael) e solo 2 giornate di squalifica (Rafael e Ceccarelli).
Come si vede i numeri sono benigni e ci dicono bene, ho un'unica preoccupazione: la legge che regola quelli «grandi».
CARLO