«Al
suono della sirena, i signori sono pregati di accomodarsi sul sedile, chiudere
la cintura di sicurezza e appoggiare le mani sulle maniglie poste davanti a
voi. La direzione augura a tutti: buon divertimento!» L’immagine che mi
sono fatto di questo filotto di partite, sia per come è stato combinato che per
il valore degli avversari che si susseguono, è quella di un giro sulle montagne
russe di un parco divertimenti. Adrenalina ed energia allo stato puro combinate
insieme. Non so se è più elettrizzante ciò che si prova durante la corsa o
l’idea di quello che sta per capitarci salendoci sopra. Ma dietro tanta eccitazione
c’è fatica, preparazione, automatismi, impegno e attenzione.
Fateci
caso, gli ingredienti e le fasi che stiamo affrontando sono i medesimi:
- si comincia con l’agitazione
che viene quando ce le troviamo di fronte altissime e ripidissime
(il derby col Vicenza)
- poi c’è l’attesa
dovuta alla fila ed alla sistemazione nel carrello del treno (la trasferta
di Trieste, una classica tappa di trasferimento)
- una volta partiti,
si passa alla fondamentale fase di carico dovuta alla forza motrice
di una catena che trascina il convoglio fino alla cima più alta (le 3 gare
interne con Rimini, Treviso e Modena)
- e si conclude con
quella di scarico a tutta velocità grazie alla forza di gravità, attraverso
un percorso composto da discese vertiginose, curve paraboliche ed
evoluzioni spettacolari (Bologna, Juventus e Genoa).
Anche la logica sembra accettare
questa similitudine: più punti riusciremo ad accumulare nella fase di carico -
cioè più si andrà in alto - più lontano finiremo. Il successo ottenuto nelle 3
gare interne faciliterà inevitabilmente il confronto con gli avversari
successivi che hanno uno spessore maggiore del nostro, perché consegna ai
giocatori serenità ed applicazione. Più la mente è sgombra da oppressioni di classifica,
meglio si concentreranno sulla partita in sè, sulla vetrina che offre, sul
confronto con l’avversario di grido ottenendo qualche risultato insperato.
Viceversa, partire male significa essere poi costretti a recuperare in
situazioni proibitive; e ciò aumenta l’ansia, la preoccupazione e la facilità
di commettere errori. In parole povere, più è forte la spinta iniziale più ci
si divertirà in quella di discesa.
Da questo punto di vista, i 3
punti conquistati con il Rimini sono stati stupendi perché ottenuti contro un
avversario più forte di noi, più tecnico e altrettanto motivato. Questo
successo mi ha ricordato un po’ quello con il Cesena.
Alcuni gialloblù, sentiti la
scorsa settimana, speravano di conquistare 7 punti nel trittico casalingo e 1-2 in quello successivo. Non si tratta di tabelle messe giù a tavolino, ma di semplici considerazioni fatte
sulla base del valore degli avversari e della sicurezza che sta venendo fuori. Questo
è significativo perché i giocatori cominciano ad avere una buona considerazione
delle proprie possibilità. Oggi saranno ancora più motivati visto che quella
con il Rimini era la gara che dava maggiori preoccupazioni.
Negli ultimi tempi, a partire
dalla trasferta di Bergamo, avevo notato un certo rallentamento nella manovra gialloblù,
come se gli uomini di Ventura fossero un po’ affaticati e per questo preferissero
lasciar giocare gli avversari per controllare meglio la partita. Anche durante
il derby, nonostante l’intensità dell’incontro, ci sono stati momenti di pausa
che non avevo riscontrato a Crotone. Lo stesso è accaduto a Trieste dove l’emergenza
e la freschezza dei padroni di casa poteva fare la differenza. Nonostante ciò,
siamo riusciti a portare a casa 5 punti fondamentali. Forse oggi il Verona ha
meno bisogno di correre per gestire la partita. Difatti, la preoccupazione di
molti era dovuta al fatto che il Rimini, veloce e quadrato com’è, non avrebbe
consentito cali di tensione da parte dei gialloblù. Ebbene, pur sembrando più
volte sull’orlo del naufragio, la navicella scaligera ha tenuto fino alla fine
per merito di Pegolo, ma anche di tutti i suoi compagni di squadra. Infondo,
erano diverse partite che non avevamo avuto bisogno di chiamare in causa il
miglior portiere della serie B dopo Buffon per riuscire a portare a termine un risultato
importante. O no?
Il punto
fondamentale è che il Verona attuale è sempre in grado di dire la sua. Questa volta
è stato per merito di una ciabattata alla viva il parroco di Da Silva da
30 metri con doppio rimbalzo davanti ad Handanovic e del polipo Pegolo che
arrivava da tutte le parti. La settimana scorsa di un gioiello di Guarente.
Quindici giorni prima dello scatto di Ferrarese e della difficoltà di comprensione
linguistica di Akagunduz (nota per l’Ufficio Inchieste: si fa per dire...
ovviamente). In precedenza dell’innato senso di rapinatore del turco, che non è
propriamente un complimento ma che a noi piace proprio per questo. E prima
ancora dei colpi di testa di Turati o dei dribbling di Cutolo... Insomma, in ogni
circostanza c’è stato un protagonista diverso e nessuno è riuscito ancora a trovare
il modo di fermare la nostra corsa. Perché adesso tutti i giocatori si sentono
in grado di contribuire con le proprie qualità alla salvezza della squadra.
Questo dipende dal fatto che Ventura
ha trasformato completamente il Verona. Al di là dei convincimenti tattici,
del modo di relazionarsi e della simpatia che proviamo la principale differenza
tra Ficcadenti – nei suoi 2 anni e mezzo di permanenza – e Ventura sta nel
fatto che il primo utilizzava l’organizzazione di gioco per coprire gli spazi,
sperando in tal modo di imporsi sull’avversario, mentre il secondo ha l’obiettivo
primario di neutralizzarlo. Ma per riuscire a dominare non è sufficiente un
approccio metodologico, occorre anche avere giocatori adatti o di qualità superiore
come accade al Genoa; mentre invece per opporsi, è sufficiente sapersi adattare.
Qual’è il modulo che adotta Ventura? non lo so, il tecnico cambia partita dopo
partita a seconda dell’avversario che ha di fronte. Non è affatto un caso se,
durante la settimana, vengono privilegiati lo studio a tavolino della formazione
che verrà affrontata e subito dopo si effettuano allenamenti ad hoc a porte
chiuse. Prima si giocava in un'unica maniera forzando certi schemi con la
convinzione che ciò bastasse, adesso si cercano quelli che possono mettere più in
difficoltà.
Probabilmente questa è la
risposta al dubbio che mi sono posto la settimana scorsa: come mai il Verona di
Ventura, pur vincendo 7 partite su 13, non è mai riuscito ad imporsi in maniera
larga ed inequivocabile (tranne Piacenza)? Perché questa squadra rischia poco,
si veste dell’abito dell’avversario e lo colpisce a tradimento quando lui abbassa
la guardia. Cioè a freddo (Bari, Rimini, Triestina) o nei momenti finali.
Durante il resto della gara lo costringe a giocare a scacchi con se stesso.
Per questo motivo non è affatto facile
incontrare il Verona, una squadra flessibile e imprevedibile. Questo è anche il
motivo per cui gente in possesso di velocità e di un minimo di tecnica come
Greco, Ferrarese, Cutolo, Cossu adesso riesce a fare la differenza e a tenere
in allarme le difese avversarie. Magari supportata da una difesa attenta e dalla
crescita costante di Guarente e Pulzetti responsabilizzati in ruoli e compiti
che prima neppure si sognavano. La nostra fortuna, insomma, non è stata tanto la
rivoluzione di gennaio quanto quella di essere passati dalla guida di un
carabiniere metodico e ossessionato dalle proprie teorie ad un marinaio abituato
a seguire la corrente e a saper interpretare l’intensità del vento.
Questo
fa capire anche che il calcio è molto più complesso di un giro sulle montagne
russe. I giocatori non sono dei semplici vagoni che corrono sparati su binari
inamovibili costruiti per chiudere un percorso programmato. I rischi ci sono
sempre, in particolare quando si ha a che fare con degli esseri umani. La
responsabilizzazione delle persone (ditemi voi se Da Silva in passato si «sarebbe
sentito» di tirare da quella distanza) porta risultati incredibili. Se
Ficcadenti porterà i suoi principi giù sulla terra e dentro il cuore dei
giocatori, diventerà un grande tecnico come lo sono Prandelli, Spalletti, Rossi,
Giampaolo, Mazzarri tutti costretti a crescere in fretta facendo di necessità
virtù. Ma se non riuscirà ad andare oltre la propria coerenza (che poi diventa
presunzione) resterà ai livelli di Zaccheroni, Zeman, Malesani tutta gente
ferma nel tempo, predicatori di un calcio che non esiste più, incapaci di
capire chi hanno di fronte.
La
differenza sostanziale tra questo scorcio di calendario e la giostra, sta proprio
nell’impossibilità di determinare in anticipo l’esito degli incontri e il
divertimento che ne ricaveremo. Mentre il comportamento del treno è
prestabilito dal continuo scambio di energia (da potenziale a cinetica) e
l’effetto finale è sempre lo stesso ad ogni giro, l’emozione e l’intensità del pallone
cambiano a seconda dei risultati ottenuti. Niente è dato per scontato, nemmeno
una parata spettacolare di Pegolo o le nevrosi di Iunco. Per questo continuiamo
a scoprire risorse individuali da parte di un gruppo che ha davvero qualcosa
dentro.
Sotto a
chi tocca, quindi: Treviso e Modena sono diverse tra loro e diametralmente opposte
rispetto al Rimini. Dobbiamo arrivare alla cima della ruota e da là guardare la
classifica dall’alto in basso prima di precipitare, col nostro entusiasmo, su
Bologna, Juventus e Genoa. Se continuiamo così, poveri loro!
Massimo