Dopo il massacro di Arezzo - nel gioco espresso, nel risultato finale e nelle conseguenze che avrà per il proseguo del campionato – ai tifosi gialloblu restano solo 2 possibilità. O affidarsi a Sant'Agostino e al suo resurrectio sine morte: cioè chiudere occhi, orecchi e naso e sperare che qualcosa di buono succeda a partire da domani fino a metà giugno per graziosa concessione della Provvidenza, mettendo fine così a un declino progressivo e costante che dura da almeno 40 giorni. Questo semplicemente perché il Verona, campione d'Italia, protagonista di una lunga militanza in serie A, sorretto da decine di migliaia di sostenitori in tutta Italia (e nel mondo), artefice di una storia centenaria, non può finire in serie C. Non può e non deve, perchè inaccettabile dal punto di vista umano e sportivo. Oppure può urlare la propria disperazione per una stagione iniziata con una liberazione e finita per trasformarsi invece nell'annientamento di ogni forma di virtù e in un atto deliberato di circonvenzione di incapaci. Dove gli incapaci di turno sono una proprietà senza un briciolo di esperienza e autorevolezza e uno staff tecnico (Cannella, Ventura) composto da personaggi mediocri, da tempo trombati dal calcio che conta.
Purtroppo, a partire da sabato scorso, il mio ruolo attivo di tifoso è venuto meno. Rimane solo quello dell'appassionato che alzerà bandiera bianca solo al fischio finale dell'ultima partita. O di fronte alla spudorata freddezza della matematica.
Durante questo periodo ho cercato più volte di razionalizzare gli errori che ho visto, scovare gli aspetti positivi, proporre qualche modesta soluzione. Tutto è risultato vano. Il Verona è stato graziato da Bologna, Juventus e Genoa che hanno preferito allenarsi con lui, anziché considerarlo un avversario; violentato dall'ardore dell'Arezzo; fermato senza troppa fatica da Triestina, Treviso e Modena; ha sofferto in maniera incredibile per portare a casa punti preziosi con Albinoleffe, Vicenza e Rimini, aiutato talvolta dalla fortuna. Continua ad offrire di sé, insomma, il suo profilo peggiore, quello di un malato allo stato terminale che vegeta in stato comatoso in sala di rianimazione. Questa squadra non è in grado di costruire un'azione di gioco nel corso di 90 minuti, non riesce a effettuare un solo tiro in porta, subisce costantemente l'avversario di turno, non risponde più ad alcuna sollecitazione. Nemmeno dopo il ritiro, o dopo aver letto la propria classifica.
A questo punto ci sarebbe da raccontare pettegolezzi, ripicche, malcontenti che da tempo serpeggiano a Corte Pancaldo e nello spogliatoio gialloblu. Ma è solo conseguenza di una stagione isterica, gestita in maniera imbarazzante, dove ciascuno pensa di essere il padreterno e che tutti quelli che ha intorno sono dei poveri deficienti. Perché abbassarsi a tanto? Perché sporcare ulteriormente la magia dello stemma? Basta vedere la squadra come si trascina in campo, senza alcuna ispirazione, e ci si rende conto anche di quello che c'è dietro.
Il problema è che mentre i nostri avversari diretti stanno cercando – ciascuno come può – di raccogliere le proprie forze e la propria concentrazione per tirare la volata finale, noi siamo piegati in due dalla fatica patita nel disperato recupero di febbraio e marzo. Adesso che dovremmo trovare l'energia fisica e nervosa per il rush finale, siamo senza più gambe e testa. Giocatori prima dati per infortunati e poi miracolosamente recuperati, altri accantonati a causa di infortuni misteriosi, formazione che cambia dopo ogni partita, nessuno che ha cognizione di causa se è titolare o riserva, allenatore che non parla più o dice troppo.
Oggi il Verona giace immobile in un letto, attorniato dall'amore dei suoi familiari (i tifosi tutti), con medici confusi ancora alla ricerca di una diagnosi (qualcuno, per la verità, l'ha data da tempo…) e con medicine che hanno esaurito la loro funzione attiva. Senza riuscire a guarirlo, però. A maggio siamo tornati indietro a novembre e dicembre. Nonostante il cambio di panchina e l'arrivo di una mezza dozzina di giocatori nuovi. Solo che adesso non c'è più tempo per recuperare.
Succeda quello che deve succedere, oramai il destino di questa squadra dipende esclusivamente da lei. I tifosi non possono più nulla. E' rimasto un briciolo di vita? Ha voglia di combattere? E' ancora qui in mezzo a noi? Non lo so, certo che non si scende in campo ad Arezzo per giocare in quel modo. E il Frosinone, prossimo avversario diretto, sarà l'ennesimo pareggio ottenuto per inerzia? Sei tu a doverlo decidere, caro Verona: vuoi tornare a vivere o hai già accettato la tua condizione?
Noi, a questo punto, non possiamo fare altro che lasciare l'impronta del palmo della nostra mano nel vetro che ci separa e alitarci contro la nostra attesa. Il tempo, bastardo o galantuomo, ci consegnerà presto un cadavere o un convalescente grave.
Massimo