Quando il calcio va in vacanza, il tifoso del Verona va in letargo. Magari non è proprio un letargo ancestrale, che deriva dalla natura delle cose. È più che altro un letargo imposto dalla mancanza - anzi, correggo - dall'assenza assoluta di argomenti in grado di tenerlo sveglio. Oddio, se andiamo a vedere bene, l'apatia e la sonnolenza che ci pervadono sono iniziate quest'anno un po' prima del previsto, diciamo subito dopo Pasqua, quando la squadra ha stabilito con se stessa di aver assolto pienamente al proprio dovere, e Remondina pure. Dopo, ci sono stati solo alcuni episodi occasionali (e irripetibili) come la bellissima Mostra sulla Storia gialloblu e l'improvvisa dipartita di Previdi a tenere acceso un po' l'interesse intorno al pianeta Hellas. Ma si è trattato solo di appendici, non certo di situazioni in grado di mantenere vivo e vegeto lo status di tifoso (attivo). Troppo distante rispetto alla realtà attuale la prima, troppo privata la seconda.
Eppure questo è un periodo delicatissimo per qualunque società di calcio. Fondamentale, aggiungo. Quando si finisce di giocare a pallone, i dirigenti iniziano a lavorare per pianificare la stagione che seguirà. Soprattutto, sono la quadratura dei conti e la ricerca di nuove collaborazioni a impegnarli strenuamente. Il fatto è che come girano i soldi nelle casse societarie e le relazioni che si intrecciano sono di massima meno interessanti di una partita giocata. Anche se, a mio avviso, sarebbero molto più vivaci di tanti 0 a 0 ai quali abbiamo assistito quest'anno. Al tifoso però, infantile sia quando eccede allo stadio che quando fantastica sul futuro, interessa esclusivamente conoscere il nome dei giocatori che stanno arrivando, proiezione di un trionfo o di un fallimento annunciato.
Però ci vorrà del tempo per questo. Non siamo ancora entrati a pieno al momento erotico delle trattative in atto, patrimonio incontrastato dei soliti che «sanno sempre tutto in anticipo». Salvo poi venir costantemente smentiti dai fatti. E allora, cosa si fa nel frattempo? Si va in letargo, ovvero ci si occupa del proprio abituale: il lavoro, la famiglia, le rotture di scatole, le vacanze, gli esami, i soldi e la salute. Insomma, la vita quotidiana, quella senza sale e neppure pepe.
E' per questo motivo che ciascuno di noi ha oggi l'impressione che questo sia un periodo morto. Un periodo nel quale non succede mai niente di eccezionale.
Questa volta, però, qualcosa di nuovo sta accadendo sul serio. C'è in atto una rivoluzione. Un cambiamento profondo. Si svolge in silenzio assoluto e assomiglia molto ad una metamorfosi indotta. Mancano i rumori, il travaglio, la rabbia, il sangue della resistenza delle guerre civili, è vero. Sembra più la nascita di un fiore di ortensia in una pianta appena interrata, oppure l'arrivo di una notizia che cambierà presto la nostra vita.
Martinelli ha disegnato finalmente l'organigramma e ha scelto la veronesità come filo conduttore: Bonato, Fattori e Terracciano hanno nelle radici comuni le credenziali necessarie per entrare in società. Ciascuno di loro ha vissuto nei campi di gioco fortune diverse, per durata ed intensità, ma le origini e l'esser pervenuti dal settore giovanile sono diventati l'elemento distintivo e caratterizzante il prossimo Verona.
E' stata una scelta giusta la sua?
La decisione di affidarsi a collaboratori che abbiano avuto un passato gialloblu è diventato oggi un valore. Non mi vergogno a dire che i campionati gialloblu che ricordo con maggiore simpatia sono proprio quelli nei quali, in panchina o in tribuna, c'erano ex giocatori a dirigere le operazioni: Pozzan, Mascalaito, Maddè, Mascetti, Bagnoli e Pellegrini hanno rappresentato i momenti più intensi che ho vissuto nei miei 40 anni da tifoso. Solo loro potevano riuscire a darci tanto, sia che si trattasse di conquistare una promozione (o addirittura lo scudetto) o di lottare per non retrocedere.
Da questo punto di vista, Martinelli ha vinto in anticipo la sua scommessa. Non si tratta nemmeno di porci il dubbio se la scelta sia corretta o meno, perché questa è la rivoluzione che gran parte di noi aspettavamo da anni a Verona. Nel momento peggiore della nostra storia (Carlo ci ha ricordato nel Dossier che mai siamo arrivati a disputare il terzo campionato consecutivo in serie C) il recupero del passato è fondamentale. Senza orgoglio e passione, non si va da nessuna parte. Al massimo, ci possiamo interrogare se quelli scelti sono gli uomini giusti? Ma a questa domanda, francamente, oggi è difficile dare una risposta. Al massimo, proverò la prossima settimana ad esprimere alcune idee in merito. Ma nulla toglie al fatto che questo Presidente verrà ricordato come colui che ha provato a riportarci in alto grazie ai veronesi.
Qualcuno può obiettare che, se da una parte questa rivoluzione inorgoglisce inevitabilmente ogni tifoso, dall'altra alimenta il sospetto che la strada intrapresa da Martinelli sia a lungo termine. Non è necessariamente così. Il Verona ai veronesi è una decisione ideale, filosofica. La difficoltà o meno di raggiungere i risultati sportivi non dipende da ciò, semmai dalle capacità degli interpreti.
Non è un caso che scelte del genere siano state prese in questo frangente. Anche altre grandi società preferiscono oggi affidarsi ad ex giocatori per conquistare lo scudetto e le coppe europee. Juventus e Milan infatti, copiando le fortune del Barcellona, hanno deciso di mettere in panchina ex giocatori al loro debutto assoluto. Perché? Perché credo che si stia percorrendo la strada di barattare il contenimento dei costi con il richiamo del cuore. La bandiera come una nuova guida. Laddove certi dirigenti e tecnici, sempre in movimento da una piazza all'altra, non assicurano più i risultati di una volta tanto vale affidarsi all'entusiasmo di gente fresca cresciuta indossando questi colori. Costano poco e possono persino sorprendere.
Certo, qualche rischio in più si corre. Ma, in nome della loro mancanza di pretese, diventa persino facile cambiare in corsa se ci si accorge che qualcosa non ha funzionato. Tanto, in giro è facile trovare professionalità ed esperienza disoccupata.
Per la verità, per il Verona questo discorso vale più per Fattori e Terracciano, al loro debutto assoluto in una società professioniste, che per Bonato che opera già da alcune stagioni ottenendo risultati importanti. Peraltro, il criterio di selezione non si discute affatto.
Il recupero della veronesità è un tema molto caro a Martinelli. Ce ne siamo resi conto più volte nei suoi pochi mesi di presidenza. E questo è un'ottima cosa anche perché il Verona, in questi ultimi anni, ha perso parecchio contatto con il territorio. Molto per demerito suo (cioè di chi lo ha rappresentato negli ultimi 10 anni), molto per merito del Chievo che invece ha lavorato moltissimo in tal senso. A questo punto, la mediocre categoria a cui apparteniamo ci consente di prenderci il nostro tempo e occuparci del calcio in maniera differente. Noi stiamo ripercorrendo oggi le stesse strade che hanno provato l'Audace negli anni '50 e '80 e il Chievo agli inizi degli '90. Ai rossoneri poi andò male, alla squadra della diga invece benissimo.
Non ci dobbiamo scandalizzare di ciò: se il passato è ancora un valore, mettiamolo dunque a servizio del presente. Ripulendoci dallo snobismo della nobiltà (perduta), dello scudetto vinto, del centenario, abbiamo ora bisogno di recuperare il significato originario del calcio, il piacere della vittoria. Per troppo tempo, troppa gente ha speculato giocando con noi su questi valori, illudendoci e portandoci fuori dal mondo. E quindi in serie C. Il Verona ha invece bisogno di sentirsi nuovamente giovane e ha stabilito di farlo leggendo i propri cromosomi. Visto che le cadute non ci fanno più paura, è arrivato il momento di credere in noi stessi.
Massimo
COLONNA SONORA Cosa ci fanno insieme un principe del country come Willie Nelson e un grande del jazz come Wynton Marsalis? Suonano classici del blues, ovviamente. E lo fanno in maniera così stupenda che non ricordo di aver mai ascoltato un'interpretazione simile di Stardust. Ma anche di Ain't Nobody's Business e di Caldonia...
Le origini della musica vincono sempre.