Quale è l'insegnamento che possiamo trarre da Monza – Hellas? Cogli l'attimo e credi il meno possibile nel domani. A forza di pensare al domani, a un progetto che in realtà non è mai esistito, Colomba cercava di convincere quest'estate i propri giocatori che erano i più forti del Campionato. A forza di pensare al domani, Sarri predicava schemi e organizzazione tattica senza sentirsi minimamente coinvolto dai problemi di classifica. A forza di pensare al domani, domenica scorsa contro il Padova il Verona ha mostrato due facce opposte di sé, concedendo la migliore al senso estetico e purtroppo la peggiore al risultato. Pensando una volta tanto al proprio presente, i gialloblu sono riusciti invece a vincere a Monza.
Parliamoci chiaro, questa partita è stata vinta meritatamente perché giocata contro un'avversaria nettamente superiore a noi nelle individualità (gente come Capocchiano, Rossi e Menassi ce li sogniamo) e nel fraseggio, ma forse poco attrezzata a far male e a stendere avversari disperati come il Verona. E così i padroni di casa, ben organizzati, coinvolti (loro sì) in un progetto di rilancio attraverso la crescita del proprio settore giovanile, attenti alle logiche di bilancio e a quelle di investimento si sono fatti sopraffare dalla disordinata inquietudine gialloblu. Con tanto di gol beffa all'ultimo minuto di gioco.
La teoria lungimirante dell'uovo oggi è destinata a perdere di fronte alla fame lacerante, quella per la quale non possono bastare né l'uovo con tanto di guscio, né la gallina cruda con tanto di piume.
Questo è un insegnamento importante, da tenere in serbo anche nelle prossime partite. Basta calcoli, proiezioni, confronti. Il Verona deve fare conto solo su se stesso e sul proprio presente drammatico. Deve evitare di specchiarsi e guardarsi intorno. Poi, non importa se segna sempre Di Bari a tempo scaduto, se ci sono ogni partita le solite incomprensioni difensive, se manca un riferimento in area di rigore e se siamo costretti a snaturare alcuni calciatori (Mancinelli, Cissè) in nome della squadra. Tutto fa parte del meccanismo di sopravvivenza innestato dal momento. Dalla necessità. Ed è proprio in questo contesto drammatico che, casualmente – ma non troppo – scopri che non c'è solo una predisposizione collettiva al sacrificio, ma anche la crescita individuale di gente importante come Garzon, Rafael, Zetulayev e Stamilla (soprattutto nella ripresa).
Insomma, l'attimo che fugge e che ti costringe a rincorrerlo è l'unica via d'uscita possibile per affrontare i prossimi scontri diretti alla pari. Sin da domenica prossima occorre ritrovare la medesima intensità di Monza. Quella in grado di contrastare anche i limiti strutturali, le croniche deficienze caratteriali (insopportabile l'isteria di certi interventi fallosi di Comazzi, Gonnella e Corrent) e può controbilanciare la disperazione che Lecco, Paganese e Manfredonia metteranno in campo contro di noi. Dobbiamo affrontare ogni partita che rimane come se stessimo già giocando i playout: con la logica del dentro o fuori, del vivi o muori.
La settimana scorsa avevo decretato il de profundis di una squadra senza personalità, fragilissima nella sua doppiezza schizofrenica. Questa volta non mi sento in grado di trasmettere nuova serenità o false speranze. Sarebbe sciocco pensare di aver risolto tutti i nostri problemi. E' vero però che una partita del genere serve per il morale e per metterci nella condizione di giocarci in maniera diversa. Ma se guardiamo con un po' di obiettività la classifica, i 2 punti presi al Manfredonia e i 3 a Lecco e Pro Patria servono ancora a poco, tale è il distacco. Purtroppo, paghiamo care le stupidaggini recenti e quelle passate, l'illusione di recitare un ruolo differente, l'idea assurda che certe esperienze negative a noi non sarebbero mai potute capitare. È meglio per tutti (giocatori in particolare) credere allora che il Verona sia ancora morto, fuori dai giochi, destinato a ribellarsi a se stesso per trovare una scintilla vitale. Monza è l'espressione solo di un attimo di gioia, non di redenzione.
Questa è la strada giusta, però: quella che parte dalla disperazione e arriva all'orgoglio, per ricominciare sempre allo stesso punto. Non voglio più conoscere il mio destino, il mio domani. Solo combattere senza un attimo di sosta nemico dopo nemico, alleato alla mia povertà e alla mia imperfezione. Se mi fermassi scoprirei inevitabilmente le mie numerose ferite.
Massimo
NOTA Un ringraziamento affettuoso a Simone, e un saluto ai 25 valorosi con cui ho condiviso uno splendido pomeriggio gialloblu. È proprio vero, essere dell'Hellas è tutto un altro paio di maniche.