Il Verona, dopo la sconfitta con la Lazio, galleggia 6 punti sopra il Benevento e ha bisogno di recuperarne 6 al Crotone (5 + 1) per essere in salvo. E' incredibilmente equidistante tra il Paradiso e la vergogna assoluta. Se consideriamo che questi 6 punti rappresentano poco più di un terzo di quelli fatti finora in 25 gare e che il Verona di Delneri nelle prime 6 giornate del girone di ritorno ne aveva conquistato ben 7 contro i 3 di Pecchia ci rendiamo conto che questo numero quasi ossessivo rappresenta una distanza psicologicamente vicina ma abissale al tempo stesso se non cambia qualcosa nel frattempo. Il calendario, ad esempio, con l'approssimarsi degli scontri diretti. Anche se le delusioni delle brucianti sconfitte col Crotone e a Cagliari non mi lasciano tranquillo. Ma, come vanno dicendo i giocatori, non si può più sbagliare. Nel frattempo, negli ultimi giorni qualcosa fuori dal campo di gioco è realmente cambiato. Il Verona ha messo da parte il silenzio stampa, ha offerto lunghe interviste e una lettera aperta del presidente, ha recuperato personaggi emotivamente importanti (Bagnoli e Puliero) e si è mostrato disponibile ad incontrare i tifosi. Questo processo di ravvicinamento, che non può non far piacere, è sicuramente figlio di una nuova strategia comunicativa ma anche sintomo di una situazione economica più serena dopo le cessioni del mercato invernale. Si tratta, per molti versi, di un percorso eccezionale per una società di calcio che è portata a parlare poco dei numeri che la sostengono, in quanto preferisce farsi rappresentare esclusivamente da quelli di carattere sportivo. Molti bilanci, sostenuti artificialmente da plusvalenze discutibili, nascondono in realtà situazioni difficilmente sostenibili nel tempo. Ma finché dura ... pensiamo a giocare. Tuttavia, un'apertura del genere comporta una serie di responsabilità ancora più impegnative da dover gestire e di prese di coscienza dolorose.
Quando un genitore apre un dialogo in famiglia ammettendo che, alle condizioni attuali, non ci si può permettere la solita vacanza estiva compie sicuramente un atto coraggioso, ma espone se stesso ad un esame da parte di tutti gli altri componenti. Il suo obiettivo è essenzialmente quello di trovare una partecipazione emotiva, un «non importa, papà» che il più delle volte finisce per rinsaldare il nucleo familiare. Ma la risposta non è sempre univoca. Ci sarà qualche familiare che non accetta di buon grado alla rinuncia e, in mancanza di altro, mette in discussione tutto. Dalla gestione delle cose (come siamo arrivati a questo punto?), all'autorevolezza in generale del genitore, alla sfortuna di appartenere ad una famiglia del genere. Al fatto che, sistemate momentaneamente le cose, non abbiamo alcuna certezza che in futuro poi andranno diversamente. Soprattutto visto l'attuale impoverimento patrimoniale della rosa in caso di retrocessione. Ci sta, purtroppo.
Col passare del tempo anche altri componenti possono soffrire il confronto esterno composto essenziamente da famiglie che invece in vacanza ci vanno regolarmente (spesso indebitandosi) perché la frustrazione del ridimensionamento è pesante e, di conseguenza, il senso di appartenenza può subire degli scossoni. Il concetto di base - prima i conti a posto e poi le vacanze - è corretto dal punto di vista logico, ma difficile da accettare di buon grado. Nella vita forse lo si mette in conto, ma nella passione calcistica è più impegnativo.
Certo, la storia insegna che solo occasionalmente risultati economici e sportivi seguono strade differenti. E solo raramente ci si diverte in agosto di più in città – tra caldo, servizi chiusi e zanzare – che al mare o in montagna.
Pertanto l'unica strada che a mio avviso dovrebbe percorrere questo genitore è da una parte quella di compensare l'abbattimento familiare con contenuti che riconducano all'orgoglio e all'unità familiare (un gelato in centro, tutti insieme, non si nega mai), dall'altra essere maggiormente sensibile agli umori che ha creato rendendosi anche disponibile ad accettare critiche e mal di pancia di chi sta subendo la situazione. Suo malgrado. Il confronto, in genere, fa superare il disagio tra le parti e aiuta il genitore a scoprire nuove vie d'uscita. Ma deve essere disposto lui stesso, per primo, a mettersi in discussione. Del resto, se qualcosa non ha funzionato, forse è opportuno rendersi conto che è lui per primo ad aver commesso degli errori. E io non ho sentito parlare di errori fatti, finora.
Sul primo punto lo sforzo è evidente (Bagnoli, Puliero etc). Sul secondo invece, che riguarda un'analisi obiettiva di quanto realizzato finora da Fusco e Pecchia francamente vedo ancora molta strada da percorrere. La squadra non è eccezionale, lo sappiamo, commette ingenuità ed è fragile emotivamente. Quanti tiri in porta abbiamo fatto con Roma, Sampdoria e Lazio? Non parlo di differenza di valori, nettissimo, ma di capacità di rendere la vita difficile agli avversari. Di crederci fino in fondo. Del resto, come avrebbe mai potuto il piccolo Wigan (terza serie del campionato inglese) far fuori la corazzata Manchester City in coppa se non avesse avuto questo spirito che va oltre i semplici valori tecnici?
Il problema sta tutto qui. La fragilità di questa squadra l'abbiamo già conosciuta l'anno scorso a partire dal famoso 5 a 1 di Cittadella e i disastrosi mesi di gennaio e febbraio che stavano per mettere in discussione la promozione diretta in A. E lì le parti erano invertite: eravamo noi la corazzata della categoria. Quella da battere. Eravamo noi il City della categoria. Eppure ... Quindi oggi, a 6 punti da tutto, ci sono le basi per salvarsi con la stessa guida tecnica? Cosa può uscire dal lavoro di Pecchia che non è emerso finora? Come possono cambiare le cose?
Tornando alla nostra famiglia, non vorrei che il più piccolo di casa, quello anche più timido e sprovveduto, finisse per spiegare al genitore una regola così banale da essere sconcertante: papà, ma per allenare in serie A occorre un allenatore da serie A. Come dire: nelle difficoltà del quotidiano e con i pochi mezzi che abbiamo a disposizione l'esperienza di un professionista capace (Ballardini, Zenga, Iachini) può risolvere molti problemi. Anche perché non è la prima volta che, alla fine, sono proprio i risultati sportivi positivi a risolvere quelli economici.
Massimo
Colonna sonora: New York is not my home, Jim Croce
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