Lo scorso 13 aprile Farina ha indetto una conferenza stampa con la quale ha esplicitato il suo programma per rilevare il Verona. Non entro in merito al progetto, visto che comunque tra meno di un mese ne sapremo di più, però abbiamo 3 punti fermi da non tralasciare: una data, il prossimo 15 maggio, termine ultimo per l'esercizio dell'opzione; la modalità aggregativa, un gruppo di imprenditori abbinato a un azionariato popolare e diffuso tra i tifosi; l'enfasi che ha dato il Verona stesso, sintomo che questa iniziativa ha più di un significato per l'attuale proprietà. Oggi ci occuperemo di scoprire cosa si intende per azionariato popolare, se può essere considerato una soluzione efficace, perché non è mai stato attuato nel nostro Paese.
PERCHE' L'AZIONARIATO POPOLARE? Nel 1995 la Sentenza Bosman ha dato una sferzata al processo di integrazione comunitaria europea dei calciatori professionisti. In realtà, questa iniziativa ha scatenato tutta una serie di revisioni della precedente disciplina sportiva, normata dalla legge numero 91 del 1981, introducendo disposizioni anche in merito alla «società sportiva». Una di queste, in particolare, ha abrogato l'articolo 10 con l'obiettivo di favorire la diffusione dell'azionariato popolare. Infatti viene derogata la legge 216/74 stabilendo che «non costituisce sollecitazione del pubblico risparmio il collocamento di azioni e di altri valori mobiliari effettuato dalle società sportive professionistiche tra persone fisiche o giuridiche per importi non superiori a 10 milioni di lire».
Dovrebbe essere la risoluzione di tutti i mali: i tifosi entrano finalmente a far parte del capitale sociale della propria squadra di calcio, partecipando alla crescita e allo sviluppo della stessa. Il problema è che il legislatore non si è curato di disciplinare altro in materia, tranne l'ovvia conseguenza che «viene eliminata qualunque limitazione al rimborso di dette quote e azioni». Sono trascorsi 10 anni, ma in Italia non abbiamo esempi tangibili di azionariato popolare, se non limitato a rarissime esperienze (Padova) e a quote di partecipazione assolutamente marginali. Perché?
Cerchiamo prima di tutto di capire perché viene proposto l'azionariato popolare, poi ci occuperemo del perché non viene messo in atto.
E' possibile che la crisi del calcio, abbinata alla scarsa crescita economica del nostro Paese, siano buoni argomenti per non riuscire a far emergere dal contesto sociale ed economico veronese alcun potere forte tale da chiudere individualmente una trattativa con Pastorello. Alcuni possono sostenere che questo è conseguenza diretta di una mancanza di affezione nei confronti del Verona, altri che non è il periodo adatto. Forse entrambe le ipotesi andrebbero combinate insieme, vista la freddezza cronica che mostrano i nostri imprenditori nei riguardi dello sport scaligero in genere. La gloriosa Scaligera Basket è stata lasciata fallire per una cifra irrisoria, Pastorello ha trattato con un numero limitato di imprenditori veronesi (Paiola, Garonzi e Martinelli), lo stesso Chievo, che rappresenta oggi la migliore opportunità provinciale, ha visto Campedelli parlare solo con fumosi finanzieri bresciani.
Per queste ragioni, in tempi e con modalità diversi tra loro, Bussinello prima e Farina poi si sono fatti portavoce di proposte per raccogliere capitali freschi tali da liquidare l'attuale proprietà e, in entrambe le circostanze, hanno aperto una quota residuale ma significativa all'azionariato popolare.
Le malelingue dicono che queste iniziative piacciono soprattutto a chi cede perchè gli consente di tenere alto il prezzo negoziale potendo contare su una pluralità di piccoli e medi acquirenti. O di qualche pezzo grosso che non vuole esporsi più di tanto. Insomma, un conto è trattare con un interlocutore unico che mette a disposizione una certa somma predeterminata, un conto è diluire le pretese tra tanti potenziali compratori. Anche perchè, più sono costretto a spendere per liquidare Pastorello, meno risorse rimangono per ricostruire la squadra. In pratica, il problema che hanno avuto recentemente Ternana, Vicenza e Catanzaro.
Ma cosa è l'azionariato popolare? E' più facile restringere il campo su cosa non è.
NON E' UNA PUBLIC COMPANY Molti tifosi, entusiasti del progetto o semplicemente speranzosi di togliersi di torno prima possibile Pastorello, confondono l'esperienza spagnola e tedesca del Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco con quella di Roma, Lazio e Juventus.
La differenza sostanziale sta nel fatto che quando una società si quota in Borsa, deve rispondere a certi requisiti e subisce il controllo incrociato della Consob e della FIGC. Cosa che non accade assolutamente con l'azionariato popolare.
In particolare, «l'investitore tifoso» può contare su:
- obblighi di trasparenza nelle operazioni societarie
- obblighi di informazione da parte della società
- libera circolazione del titolo di possesso tramite il mercato per tutelare il proprio investimento e verificare quanto sta rischiando.
Il fatto stesso che sia reso costantemente pubblico il valore del titolo è un indice di consapevolezza; così come la conferma che la capitalizzazione di Borsa cresce o si riduce a seconda delle prestazioni sportive della squadra, degli impegni che stanno assumendo gli amministratori e dell'interesse che assume la società nel mercato (eventuali scalate). Tutto ciò rappresenta un'incredibile forma di tutela.
Viceversa, a parte i momenti tradizionali nei quali si riunisce l'Assemblea dei soci, l'azionista popolare ha la stessa conoscenza circa l'andamento contabile e societario della propria squadra che oggi abbiamo con Pastorello proprietario.
NON E' UNA COLLETTA Cosa accade quando una società sportiva va in crisi o più semplicemente di fronte a un deficit di bilancio? Quanto rischia l'azionista popolare? A livello teorico: da tutto l'investimento effettuato, alla totalità dei beni a sua disposizione, pro-quota s'intende. In pratica, la mancanza di una disciplina in tal senso lascia tutto molto vago: giuridicamente non esiste una «società per azioni con capitale riveniente da azionariato popolare», non è pertanto assimilabile alle aggregazioni di capitale (a responsabilità limitata o illimitata) tradizionali.
Nemmeno il fatto di mettere un tetto all'investimento iniziale è presupposto per determinare un limite alla responsabilità del socio: l'esposizione iniziale andrebbe comunque integrata con l'andamento della vita societaria.
Faccio presente inoltre che il rischio di insolvenza, già vissuto dalle squadre straniere di cui sopra, ha costretto l'intervento ad hoc del legislatore in quei Paesi e il contributo massiccio di soci istituzionali per evitare la bancarotta. In particolare, il Real Madrid ha dovuto svendere, pochi anni fa, la ciudad deportiva per far fronte alla montagna dei debiti che aveva accumulato; il Barcellona si è salvato con l'aiuto delle banche; il Bayern Monaco ha ceduto i suoi migliori giocatori rinunciando di fatto ad essere competitivo anche in Europa. Ma voi ve lo immaginate una legge a favore degli azionisti popolari dell'Hellas Verona? Fossimo almeno l'Inter o il Milan…
L'impegno dell'azionista popolare non si limita pertanto al contributo iniziale, quello richiesto per espropriare Pastorello, ma deve essere inevitabilmente surrogato da altri che si rendono necessari per pagare le tasse, iscrivere la squadra al Campionato, rinnovare un contratto, acquistare un giocatore importante. Gli impegni, in pratica, iniziano e non finiscono con l'uscita della vecchia proprietà.
C'è poi un altro dubbio da porre in evidenza e anche questo non di poco conto: come posso uscire dall'investimento? A quale prezzo? Chi fa da Cassa di Compensazione? Possono essere cedute le mie quote agli imprenditori di maggioranza? Sicuramente no, visto che all'estero le due tipologie di titoli azionari sono ben distinte e separate tra loro.
Il più illustre consulente sportivo italiano, il professor Giovanni Albanese, ingaggiato dai tifosi veneziani che l'anno scorso volevano cacciare DalCin e quest'anno da quelli romanisti che vorrebbero in questi giorni liquidare Sensi, interrogato sulla fattibilità di una forma di azionariato popolare nel nostro ordinamento giuridico, ha risposto in questo modo: «Sarebbe molto più conveniente per il singolo tifoso…donare i propri soldi al sodalizio…, circostanza questa che non lo vincolerebbe in alcun modo per il futuro. L'azionariato popolare non è applicabile in Italia, a meno di non scendere a notevoli compromessi con il modello societario classico».
QUANTE TESTE CI VOGLIONO? Non mi riferisco tanto a chi avrebbe il potere di eleggere il Presidente e a prendere le decisioni maggiori, perché questo è un problema che rimane ai soci di riferimento, con un minimo di rappresentatività della quota minoritaria degli azionisti popolari. Mi riferisco invece a quanti piccoli azionisti ci vorrebbero per completare la proposta di Farina.
Supponiamo, per semplicità, che il Presidente chieda 10 milioni di euro, con uno sconto intorno al 15% rispetto allo scorso anno; supponiamo anche che la quota destinata ai piccoli investitori sia pari al 20%, come è prassi nelle esperienze estere, con quote del valore nominale di 100 euro ciascuna. In pratica, occorrerebbero 20.000 tifosi gialloblu per chiudere la sottoscrizione.
Voi mi dite dove li trova, l'Hellas Verona, 20.000 persone disposte a prendere parte a un'iniziativa che:
- non ha tutele giuridiche
- non ha precedenti normativi
- è aperto alla copertura dei successivi disavanzi di bilancio che si dovessero presentare in futuro?
I RISCHI DELL'IMPRESA Al di là dell'entusiasmo iniziale di pochi, basta scoprire che solo una parte molto limitata dei tifosi di Roma, Lazio e Juventus (si passa dal 15% giallorosso al 9% bianconero) sono anche azionisti della propria squadra del cuore. Questo ci fa tornare subito con i piedi sulla terra. Eppure loro hanno tutte le tutele possibili e immaginabili e la possibilità di esporsi per pochissimi euro, il costo di 1 azione.
In questo contesto assolutamente vago, applaudo all'iniziativa dell'avvocato Massimo Belligoni che ha attivato un conto in una banca cittadina per i tifosi gialloblu che vogliono contribuire alla causa dell'Hellas versando somme libere a partire da 50 euro. Anche se lo studio legale che segue il progetto di Farina si è sentito in dovere di precisare che «questa iniziativa non deve essere confusa con il progetto di azionariato popolare» del loro cliente, Belligoni è riuscito a muovere qualcosa e a cercare di capire quanto interesse potenziale c'è in giro. Nel frattempo, i legali delle 2 parti si sono incontrate venerdì scorso. Al momento, non siamo riusciti a sapere nient'altro. Forse perché, prima di attivare i tifosi, bisogna trovare gli imprenditori…
Parliamoci chiaro, le domande da contrapporre a Farina sono ben altre, perchè nessun tifoso ha l'anello al naso.
- Perché proprio con il Verona si deve effettuare uno sforzo finanziario così innovativo e incerto di liquidazione di Pastorello? A quali condizioni?
- Perché il Presidente non quota la propria società 5,5/6 milioni di euro, che sarebbe il suo effettivo valore, rendendo così più agevole un'iniziativa individuale? Dovrà pure tenere conto che il prossimo 30 giugno perderà patrimonialmente Adailton, Biasi, Mazzola e Giuseppe Colucci, e che la squadra è in piena zona retrocessione. O no?
- Perché non tiene conto anche dell'opportunità che il Tribunale ha riservato alla Triestina, facendola fallire in itinere e senza attendere l'applicazione del Lodo Petrucci? Fontanel ha sborsato 3,3 milioni di euro per rilevare una società senza più debiti e solo da potenziare.
- Corriamo il rischio di non riuscire a iscriverci al prossimo Campionato o no?
- Finora è stato ipotizzato che Pastorello chieda tanto perché in questo modo prezza il Verona. Non è invece che la cifra serve per coprire una montagna di debiti che non conosciamo e per questo non può scontare proprio niente al mercato? A questo punto, il rischio è ancora più alto. Per chiunque.
Insomma, a fronte di un progetto giudicato dal Verona Calcio «auspicabile», non ho sentito ancora parlare di prezzo trattabile e adeguato alle condizioni di mercato, ma solo della speranza di coinvolgere «numerosi imprenditori» e più tifosi possibile. C'è davvero bisogno di essere così poco chiari con i tifosi in questo momento, dopo aver imposto anni di sacrifici e privazioni? Come stanno effettivamente le cose?
Nessun problema: il 15 maggio non è così lontano. Speriamo per allora di essere già salvi e di non correre il rischio del Venezia (retrocessione + fallimento). Sarebbe il peggior commiato possibile da parte di Pastorello. L'inizio di un nuovo incubo.
Massimo