Nato a: Cernusco sul Naviglio (Mi)
Il: 18.03.1959
Nazionalità: italiana
Altezza: 183 cm
Peso: 75 Kg
Ruolo: Libero
Palmares: 1 scudetto (Hellas verona 1984-85), 2 Coppe Italia (Inter 1977-78, Juventus 1989-90), 1 Coppa Uefa (Juventus 1989-90)
Club scuola: Inter
Nazionale: 11 pres. 0 gol (debutto 08.12.1984 Italia-Polonia 2-0)
•«Fosse stato solo per me non avrei mai lasciato una città come Verona•»
Aveva il faccino da scolaro di Oxford, educato, pulito e sorridente. I riccioli corti e curati, la voce forbita e intonata sempre all'argomento. Tutto questo nonostante le umili origini. Tricella fu senza dubbio il giocatore di maggior spicco e la pedina tattica fondamentale del Verona dello scudetto. Difensore implacabile grazie all'innato tempismo negli interventi, sapeva affrontare a tu per tu l'attaccante avversario e risultava decisivo quando, sganciandosi con raro tempismo, dava il via al micidiale contropiede manovrato dei gialloblù. Tricella si distingueva nelle regali avanzate palla al piede, nell'intelligenza tattica e nel lancio millimetrico per i compagni. Il tutto, solfeggiato rigorosamente in sourplasse, dispensato ad ampie e morbide falcate con lo stile e l'eleganza di un fuoriclasse. Roberto interpretava il ruolo del libero in maniera moderna ed innovativa, non limitandosi a fare lo •«spazzino•» d'area, ma divenendo regista arretrato. Beniamino dei tifosi, apprezzato per classe e attaccamento alla maglia, la sua cessione alla Juve sollevò una violenta contestazione al presidente Chiampan. Un brano indimenticabile di storia gialloblù se ne andava col capitano dello scudetto, arrivato a Verona otto anni prima col sorriso furbo del ragazzino, regolarmente trasformatosi in campo nella determinazione feroce con cui aveva guidato passo passo la squadra sino alle vette più alte.
Roberto Tricella nasce il 18 marzo 1959 a Cernusco sul Naviglio, un paese alle porte di Milano, il <>, dato che anche l'indimenticato fuoriclasse juventino Scirea e Roberto Galbiati sono nati lì. Il padre operaio, che gestisce la famiglia all'antica, inculca in Roberto il senso del sacrificio e della serietà. Anche a scuola del resto (all'istituto <> di Milano dove ha conseguito il diploma di perito in radio-elettronica) Tricella si distingue come il primo della classe, nonostante la stanchezza. La sveglia alle sei e mezzo a Cernusco, ore sette metrò fino in piazzale Lotto, cinque ore sui banchi, un toast e via, filobus 91, a Rogoredo, ad allenarsi con i ragazzi dell'Inter. Alle 18: 30 ancora filobus e metrò, ore 20 a casa, cena e sui libri fino a mezzanotte. Ma l'intelligenza colma tutto. E, con essa, l'adattamento al sacrificio, alla lotta, imparate sulla panchina dell'Inter che troppo presto se ne sbarazza inseguendolo poi vanamente a metà anni ottanta nel tentativo di riportarlo a casa. Dopo due stagioni in cui colleziona cinque sole presenze e una coppa Italia, Roberto viene infatti spedito al Verona fresco retrocesso in serie B. Inizia l'avventura gialloblù.
I nuovi dirigenti, che hanno rilevato l'Hellas Verona da Saverio Garonzi (che era stato squalificato a vita in seguito al colorito campionario di improperi con cui si era abbattuto su Menicucci & company dopo la sconfitta contro il Napoli durante la stagione precedente), con l'ambizione di riportare immediatamente il Verona in serie A, si applicano con solerzia in fase di calciomercato. A Verona, insieme al giovanissimo Tricella, arrivano Capuzzo, Oddi, Roversi, Fedele e addirittura Bobo Boninsegna deciso a spendere le ultime cartucce di una carriera ricca di trionfi e gloria. Mingherlino e timido, Roberto non dà apparentemente l'impressione di poter essere un lottatore. Ma sin da subito egli dimostra che quel suo fisico da ragazzino in via di sviluppo è solo uno scherzo ai più scettici. Tuttavia le speranze dei dirigenti sono deluse: dopo tre quarti di campionato affrontati dalla squadra gialloblù in maniera egregia, l'inesperienza e qualche situazione sfortunata negano infatti la promozione agli scaligeri. L'annata successiva non è migliore ed ancora una volta l'Hellas vede svanire i propri sogni di gloria al fotofinish.
La tanto sospirata promozione arriva però nella stagione seguente ed arriva in maniera roboante ed indiscutibile. Al timone del Verona è giunto in estate Osvaldo Bagnoli, una •«promessa della panchina•» messosi in luce l'anno prima alla guida del Cesena. Forte di un gioco piacevole e redditizio, talora anche entusiasmante, il Verona percorre felicemente il suo cammino, sino a conquistare meritatamente il primo posto in classifica. La promozione matematica viene conquistata a Pescara e la sera alla cena della squadra c'è molta allegria e grande felicità. Dopo l'ennesimo brindisi Roberto Tricella, già soprannominato •«Gerry•» per la sua abilità a fare il verso di Jerry Lewis, si esibisce in una splendida imitazione di Bagnoli, rievocando per filo e per segno quanto era avvenuto nell'intervallo della partita interna con la Lazio, vinta con uno splendido 3-2 dopo che il primo tempo s'era concluso con i biancocelesti in vantaggio. Si piazza a gambe larghe, con le mani in tasca, guardando torvo i •«suoi•» giocatori. Intervalla lunghi silenzi a esplosioni improvvise di secchi rimproveri: •«Cavasin, vai a sederti!•» •«Tricella, zitto! E finiscila di andare avanti•» •«Guidolin, seduto!•» Poi, dopo un silenzio ancora più lungo, esplode in una raffica di rabbiose esortazioni in dialetto milanese: un minuto di vibranti incitamenti alla vittoria. L'imitazione applauditissima di Tricella rende chiara a tutti la straordinaria forza di Bagnoli nello spogliatoio, più di quanto avrebbero potuto fare mille altri discorsi.
Nella stagione 1982/83 l'Hellas stupisce tutti: non risentendo per nulla del salto di categoria e grazie all'acquisto di giocatori quali Fanna e Dirceu, il Verona conclude al quarto posto conquistando per la prima volta la possibilità di partecipare alle coppe europee. Assistito e protetto da Domenico Volpati, Tricella matura definitivamente a livelli di eccellenza assoluta, interpretando il ruolo del libero in maniera perfetta e partecipando in maniera decisiva ai contrattacchi. Alla terza giornata Roberto segna il suo primo gol nella massima serie: l'avversario di turno è la Juventus che viene sommersa dal cuore dei gialloblù, in un tripudio di bandiere. Dopo un gol di Fanna, sul finire Tricella trafigge imparabilmente il mitico Zoff con una mirabolante staffilata all'incrocio regalando all'Hellas una vittoria da ricordare. L'anno seguente il Verona e Tricella si confermano ad altissimi livelli e appaiono ormai pronti alla conquista dello scudetto. Conquista che arriva grazie ai •«nuovi•» Elkjaer e Briegel in un giorno di maggio del 1985. Tricella nel frattempo è diventato il capitano dell'Hellas nonché il punto di riferimento della squadra e dell'allenatore. Insieme a Volpati forma un duo affiatato e capace, in grado di guidare la squadra nei momenti di maggior difficoltà. Il giorno dello scudetto al contesto di allegra baldoria che si è creato all'interno dello spogliatoio, fa eccezione Tricella, che sedutosi in un angolo piange lacrime di gioia, ricevendo carezze al capo da chiunque gli passa vicino. La domenica successiva, nel giorno dei festeggiamenti al Bentegodi e in Piazza Brà, Tricella si esibisce in uno spettacolo davanti alla folla festante, imitando Jerry Lewis e canzonando il buon Ferroni che era venuto con la mamma.
A coronamento di un'altra ottima stagione arriva nel maggio 1986 la convocazione nella nazionale che partecipa ai mondiali di Messico. Dopo le Olimpiadi del 1984 Tricella è però costretto a vivere ancora una volta un'esperienza negativa. Per lui nessuna presenza con un'Italia affondata già agli ottavi.
La stagione 1986/87 è l'ultima di Tricella con la maglia gialloblù. Il Verona finisce al quarto posto con un bottino di 36 punti e il biglietto per una nuova avventura europea. La squadra sembra aver ritrovato, pur con ritocchi, i suoi meccanismi antichi. Ma la realtà si presenta in estate diversa: Fernando Chiampan, che nel frattempo ha assunto ufficialmente la presidenza della società, decide di cedere De Agostini e Tricella alla Juventus nonostante le proteste dei tifosi gialloblù (celebre il coro •«Chiampan attento: Tricella non si tocca!•»).
Quella in cui si trova a giocare Tricella è una Juventus in crisi dopo gli abbandoni di Platini e Trapattoni. Alla Juve Roberto rimane per tre anni, vivendo le prime due stagioni da titolare e l'ultima da riserva. Ed è proprio l'ultima delle tre, la stagione 1989/90, quella che regala maggiori soddisfazioni al libero lombardo. In un solo anno infatti la Juventus conquista coppa Italia (ai danni del Milan) e coppa Uefa (contro la Fiorentina). Comunque la partecipazione di Tricella a questi trionfi è marginale. Di qui la risoluzione di cambiare aria, scegliendo Bologna come ultima tappa della carriera. Una scelta che si rivela sbagliata: Tricella è ormai al capolinea e il suo contributo non risparmia l'ultimo posto a una squadra inadeguata per la massima serie.
In estate arriva la decisione di lasciare l'attività agonistica: è l'addio, un po' malinconico, di un campione di eleganza e correttezza che ha contribuito a rendere grande la nostra amata squadra.
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