Ci sono tifosi più fortunati di altri. Ad esempio chi, inconsapevole della storia che stava scrivendo il Verona di Bagnoli, ha assistito con trepidazione alla memorabile cavalcata scudetto. Oppure prima ancora chi, scosso da anni di grigiore e mediocrità ha assaporato la serie A e l'ha difesa a denti stretti contando ogni fine gara quante squadre erano elencate sotto di noi in classifica. Sono stati momenti meravigliosi che hanno in comune il fatto di essere stati rappresentati da grandi calciatori e grandi persone, e di averci potuto finalmente consentire di mostrare orgogliosi i nostri colori nei più grandi palcoscenici italiani.
Grazie al figlio Lorenzo, Hellastory ha avvicinato un simbolo del Verona dell'epoca Garonzi. Per i tifosi gialloblu, Livio Luppi – modenese di Vallalta di Concordia, classe 1948 - è stato un riferimento costante, quello che là davanti c'era sempre. L'ultimo a mollare. Se Zigoni, suo compagno d'avventura in area di rigore, era genio e sregolatezza, improvvisazione e tecnica ma anche discontinuità e irrequietezza, il suo gemello rappresentava la continuità e l'affidabilità. Ce ne accorgevamo le rare occasioni in cui era assente per infortunio. Le fortune di quel Verona (e di ciascuno di loro) sono state la presenza di entrambi uno accanto all'altro: Yin e Yang.
Livio ciao, tanti auguri di un 2015 sereno e ricco di soddisfazioni. Per chi non ha potuto vederti all'opera ci ricordi le tue caratteristiche tecniche?
> Ero un'attaccante rapido, dal cosiddetto passo corto, ambidestro. Giocavo prevalentemente per la squadra.
La tua storia gialloblu è spesso legata a quella di Zigoni.
> Io e Zigoni eravamo una coppia molto affiatata sia in campo che fuori. Tra di noi c'è sempre stata e c'è tuttora molta amicizia e stima reciproca.
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Livio, che differenza c'è tra il calcio attuale e quello che hai vissuto?
> Sicuramente il calcio in passato era più veritiero rispetto a quello attuale.
Una volta anche il rapporto calciatore società era più diretto. Il ruolo dei media era relativo, non c'erano i procuratori e i presidenti erano molto più presenti nella vita della squadra. E poi c'era Garonzi...
> Difatti. Ogni anno avevi il confronto con il presidente Garonzi, il quale valutava la tua prestazione stagionale compresi i gol fatti. Sulla base di questo potevi chiedere un aumento. La richiesta era legittima... L'effettivo ottenimento altra storia.
Lei è sempre molto amato
> Il mio rapporto con i tifosi è vivo ancora oggi. Tutte le volte che vado allo stadio qualcuno mi chiede ancora di fare la foto con il proprio figlio che di regola ha sui 7/12 anni.
E con i vecchi compagni di squadra?
> Ogni anno ci troviamo in occasione della cena ex giocatori gialloblu. Tale associazione ha anche una onlus per la quale io gioco ancora le partite di beneficenza.
Nel 2000 è uscito il libro Nel fango del dio pallone (KAOS Edizioni) scritto da Carlo Petrini, suo compagno di squadra ai tempi del Torino e del Verona, che racconta il doping negli anni 70. E' stato shoccante leggerlo. Tra l'altro, alcuni giocatori della sua epoca sono rimasti vittima di tutta una serie di malattie degenerative conseguenza diretta di quelle strane iniezioni. Cosa ne pensa in merito?
> Nel libro di Petrini sono presenti sicuramente fatti concreti, però per quanto mi riguarda nelle società dove ho militato non ho mai riscontrato alcun problema sul cosiddetto caso “doping”.
Meno male! Adesso ci racconti cosa si prova a scendere in campo al Bentegodi.
> Il valore e l'affetto dei tifosi gialloblu non è facile da descrivere. Oggi come allora giocare al Bentegodi è un'emozione unica, quando mi reco allo stadio mi sembra che le lancette dell'orologio tornino indietro, come se tutti questi anni non fossero effettivamente trascorsi.
Il suo palmares la fregia della conquista della Coppa Italia nel 1970/71 con la maglia del Torino. Dopo un paio di anni lei verrà acquistato dal Verona grazie a Giancarlo Cadè, suo allenatore granata. Ma quella squadra era un pezzo di storia gialloblu con i vari Bui, Maddè, Petrini e un giovanissimo Zaccarelli. Parliamo a questo punto della sua carriera con l'Hellas. Il rimpianto più grande?
> Il rimpianto più grande è quello di non aver vinto la coppa Italia giocata a Roma contro il Napoli. Abbiamo tenuto bene il campo per 75 minuti e siamo crollati solo nel finale. Il 4 a 0 è un risultato bugiardo. Un vero peccato.
Il gol più bello?
> Dei 35 gol fatti in gialloblu, belli ce ne sono diversi, ma sicuramente al primo posto metto quello contro il Milan dove di sinistro, al volo, l'ho incrociata quasi nel sette alla sinistra del portiere.
La partita nel cuore?
> Non c'è alcun dubbio. La partita nel cuore è il famoso Verona-Milan 5-3. E' anche quella per cui vengo principalmente ricordato dove feci 3 gol (ribadisco 3!), anche se il referto finale me ne ha assegnati 2.
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Parliamo ora dei suoi allenatori. Prima però un suo giudizio su Mandorlini?
> Mandorlini è un ottimo tecnico, questo è un momento nel quale non tutto gira per il verso giusto, ma saprà uscirne fuori. Degli altri: Cadè per me è stato come un padre. L'ho avuto quattro anni, uno al Toro e tre al Verona. E' stato lui a volermi fortemente in gialloblu. Valcareggi, arrivato a Verona dopo la Nazionale, in primis è sempre stato "una gran persona"...un signore nel vero senso della parola. Anche nel suo caso non si può discutere sul valore tecnico.
La vedremo presto alla televisione in compagnia di altre bandiere gialloblu. Un saluto ai tifosi?
> Ai tifosi gialloblu auguro tanta soddisfazione per l'anno che sta cominciando e un in bocca al lupo per il proseguimento del campionato.
Sentir parlare di calcio chi hai tifato, chi ha vissuto in prima persona sofferenze e gioia per i colori che ami, è davvero emozionante. Livio ha il sorriso dolce del guerriero che ha combattuto mille battaglie. La semplicità di tutte le persone di valore. Gli occhi vivaci di chi, alla fine, ha vinto.
Massimo
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