Dal "Guerin Sportivo" n. 38 del 21-27 settembre 1983

L’INTERVISTA / MAURIZIO IORIO

Un amore appassionato per il calcio, cresciuto a dismisura all’ombra dei colori giallorossi nell’anno dello scudetto. Una favola bella durata troppo poco, però: nella Roma rinnovata non c’era più posto per lui

SEDOTTO E ABBANDONATO

Di Valeria Benatti

CARINO, MINUTO, ordinato, Maurizio lorio sfodera un sorriso di circostanza per poi tornare serio. I suoi ventiquattro anni compiuti in giugno gli pesano come se fossero il doppio. La sua storia è quella della maggior parte dei calciatori: allontanato da casa giovanissimo, inserito in un ambiente "magico" ancora imberbe, ha già avuto modo di sbagliare e di pagare, oltre che di redimersi. Ora si atteggia a serio professionista, ma confessa che di "mattate", a suo tempo, ne ha fatte tante. Ama parlare di calcio e non di se stesso, e non esita a criticare il baraccone-calcio-italiano, che definisce "esagerato, assurdo, inutile". Per riuscire a conoscerlo, dunque, meglio cominciare dalla sua professione, e dalle tappe finora superate.

- Partiamo dall'inizio.

"Allora dai miei quindici anni. Già lavoravo in una ditta come factotum, e contemporaneamente, di sera, mi allenavo a Vigevano. Non perdevo un provino: Milan, Torino, Bologna, li ho fatti tutti, innamorandomi via via, inesorabilmente, dell'ambiente che intravedevo. Così, quando mi hanno chiesto di andare a Foggia, ho mollato la sicurezza economica, la famiglia, la mia città, per seguire il pallone"

- A caccia di avventure o di responsabilità?

"Forse di entrambe. Avevo un'età in cui il fascino del nuovo è determinante, ma ho un carattere per cui i pesi sulle spalle mi aiutano ad impegnarmi".

- Com'è stato l'impatto col calcio professionistico?

"Traumatico: si può dire che avevo appena finito di giocare con le figurine, ed ero già in mezzo a quegli stessi campioni. Dovevo tenere presenti i nuovi, insospettati interessi, perché ormai non si trattava più di un gioco".

- E ce l'hai fatta?

"Non subito: ho vissuto cioè varie fasi. Prima ho sofferto abbastanza lo sradicamento, la solitudine; il secondo anno ho avuto lo shock di non essere riconfermato nella rosa; il terzo sono entrato nel sogno della popolarità e della vera vita del calciatore, con soldi e macchina, anche se non avevo ancora l'età per guidarla!".

- Che data hai segnato sul tuo taccuino dei ricordi?

"Il 23 ottobre del '77, quando ho esordito. Ma non credere che da allora siano state tutte rose e fiori: anzi, forse proprio da quel giorno sono cominciati i veri problemi".

- Perché?

"Dopo Foggia, a Torino e ad Ascoli, mi ero messo a fare un po' il giovincello matto. Sostanzialmente non rispettavo il mio lavoro, non capivo. Così ho preso le mie legnate in testa, e ho dovuto mutare registro".

- Sbagliando si impara.

"Infatti. Aiutato dall'allenatore Catuzzi, a Bari, ho cominciato a cambiare e a risalire la china. La gente stessa cosi riprendeva a stimarmi, quindi i miei sforzi erano ricompensati".

- Tanto che a 23 anni avevi già vinto uno scudetto con la Roma.

"E’ stata una bella fortuna poter vivere quella favola, che mi ha definitivamente maturato. Ora mi sto già preparando spiritualmente a quando dovrò smettere, per non essere preso alla sprovvista, e intanto mi tolgo tutti gli sfizi, per non rimpiangere nulla di questa bella vita."

- Come vivi a Verona?

"A Milano direbbero che ho avuto un cùl tremendo, perché ho trovato una stupenda mansarda proprio in Piazza Erbe, in pieno centro. Mi piace perché è una casa matrimoniale."

- Cosa vuoi dire: ci sono confetti in vista?

"No, matrimoniale nel senso: non da scapolo. Ci sono varie stanze, una grande cucina, un salotto…"

- Ma tu non vivi da solo?

"Si, però voglio poter invitare gli amici, i miei fratelli, i parenti. Voglio poter stare sempre insieme a persone che stimo, e dovendo girovagare per l’Italia non è sempre facile mantenere i rapporti."

- Cos’hai portato nella tua nuova casa?

"Ovviamente i mass-media, con il videoregistratore."

- Guardi molto la tv? Cosa registri?

"La Domenica Sportiva, i film di Totò e Sordi e qualche concerto di musica leggera."

- Cos’altro c’è di tuo?

"Alcuni quadri che mi piacciono istintivamente, nonostante non sia un grande intenditore."

- Libri niente?

"C’è uno scrittore che stimo particolarmente, anzi a dire il vero finora sono riuscito a leggere solo lui: è Harold Robbins: mi sembra che sia facile e divertente, e mi rilassa, specialmente durante i ritiri."

- Altri hobby?

"Quelli di tutti: la discoteca, il cinema, la compagnia."

- Non mi sembra però ci siano grandi passioni: il tuo amore è dunque solo il calcio?

"La mia passione è la mia vita".

- Per questo non hai nemmeno grandi vizi?

"Quelli sono acqua passata. Al massimo mi concedo qualche sigaretta ogni tanto, soprattutto dopo le partite, quando devo scaricare la forte tensione accumulata in campo."

E sorride con un sorriso fanciullesco, quasi per confessare una marachella proibita.