Dal "Guerin Sportivo" n. 41 del 12 – 18 ottobre 1983

VERONA 1903 – 1983

Dalla fondazione in un liceo classico al lungo purgatorio cadetto, dal rilancio con Mondadori agli anni di fuoco di Garonzi, fino all’era Bagnoli: la storia di una squadra che solo oggi sta diventando veramente "grande"

80 VOGLIA DI GLORIA

di Carlo F. Chiesa

QUEL MATTINO d'ottobre del 1903, probabilmente, arrivò come per caso, sui tetti di Verona, uguale ai tanti che non parrebbero a priori destinati a lasciar traccia nella storia. Eppure proprio in quel giorno così qualunque che persino le agiografie ufficiali ne hanno dimenticato l'esatta identità, in un liceo classico cittadino - dal nome abbastanza aulico da evocare corrusche imprese e appuntamenti con il fato, "Scipione Maffei", e le cui suggestive foto d'epoca, con la complicità del color seppia, paiono fatte apposta per elevarlo da tempio della cultura a mito della memoria - un gruppo di studenti assieme al professor Corubolo osò sfidare l'immortalità dando i natali all'Associazione Calcio Verona. In verità, la passione per il nuovo sport che in alcune città italiane, Genova in testa, accendeva i primi fuochi di entusiasmo che avrebbe arso, un giorno, incontenibile, già aveva preso piede da tempo nella terra di Giulietta e Romeo. Storie di partite a sette giocatori disputate tra le quattro borgate "Giarina", "Enotria", "Santa Lucia" e "Borgo Pancrazio" alla domenica mattina, ma soprattutto storie di primi calci al pallone da parte, appunto, di studenti del liceo Maffei, tra i quali il virus della palla forse non ancora di cuoio sembrava diffondersi con la rapidità di un'epidemia.

L'intuizione dei giovani liceali di quell'autunno di ottanta anni fa fu però quella di superare la situazione di precarietà e pressapochismo, per conferire al nuovo gioco e ai suoi protagonisti dimensioni più attendibili e meglio definite: insomma, per giocare il football ci voleva una squadra, una vera, con tanto di società, sia pure in embrione, alle spalle. Mancava il nome, e soccorse appunto i ragazzi il loro professore di greco, che attinse nientemeno che alla classicità, delle cui vestigia culturali sembra depositario, decidendo di chiamare la nuova società "Hellas", come Ellade l'antica Grecia di ogni perfezione umanistica. I colori sociali furono subito il giallo e il blu, scelti traendoli dal simbolo del comune. Fu stanziato un fondo soci annuale di lire 32 e nominato primo presidente il conte Aldo Fratta Pasini (portiere e capitano della squadra, vedi foto a destra). Il seme era gettato, la terra si sarebbe rivelata fertile.

Sotto, il conte Aldo Fratta Pasini tra i fondatori dell'Hellas fu il primo presidente, capitano e portiere della squadra.

 

PRIMI PASSI. Qualche anno di calci... ufficiosi su un vasto campo in Piazza d'Armi, poi, nel 1906, il 29 aprile, la prima iscrizione ad un torneo regolare, tra squadre venete, in quel di Vicenza. Ad illustrare i tempi avventurati e gli slanci pioneristici degli eroi in mutande che scrivevano febbrilmente queste prime pagine di una storia a suo modo gloriosa, valgono alcuni particolari di quel primo impegno ufficiale: gli incontri, due (con Treviso e Vicenza), vennero disputati al mattino, sotto una bufera di vento e pioggia, e la trasferta venne effettuata dai giocatori in bicicletta, con partenza all'alba (per quattro ore circa complessive di viaggio). Risale a quella occasione il primo gol ufficiale dell'Hellas, siglato al Vicenza dal numero sette Crespi, dopo aver dribblato uomini e pozzanghere e di certo senza sapere di incidere in quel modo indelebilmente il suo nome sulla pietra preziosa della storia. Gli anni passano, il pallone corre come il tempo sulla ruota dell'universo. 1908: nell'anno delle Olimpiadi di Londra l'assetto societario diventa adulto. La presidenza passa nelle robuste mani di Alberto Masprone (discobolo, già medaglia d'argento nella rassegna olimpica ateniese ed ex terzino di vaglia coi colori gialloblù) e la rinnovata solidità finanziaria consente la organizzazione di un torneo triennale, la "Coppa di Verona": sarà sempre appannaggio del Milan. 1910: il mosaico si completa con il reperimento di una sede finalmente "vera", adeguata ad una società che si va imponendo all'attenzione anche fuori dei confini del Veneto: all'indomani di un clamoroso trionfo al Torneo di Torino, dove la squadra ha schiacciato rispettivamente sotto quattro, sette e tre reti (sempre a zero) avversari che si chiamano Pro Lissone, Cagliari e Andrea Doria, il Verona si acquartiera in Piazza Bra, nei locali dell'allora ristorante Vittorio Emanuele.

LA SERIE A. In breve tempo le tappe dell'ascesa verso i vertici vengono bruciate: grazie al lascito di un benefattore, Marcantonio Bentegodi, è stato affittato un appezzamento di terreno e se ne è ricavato il campo e poi lo stadio, che, per riconoscenza, porta il nome del donatore (ma non è, ovviamente, l’omonimo impianto attuale); nel 1911, d'autorità, l'Hellas viene ammessa per la prima volta al campionato di Prima categoria, l'allora Serie A. Il girone veneto-emiliano, quello dei gialloblù, comprende anche Vicenza, Venezia e Bologna. La formazione tipo di quel primo storico appuntamento col grande calcio prevede: Brivio, Ruberti, Benini, Cavallaro, A. Guardia, Ferrari, G. Guardia, Vigevani I, Bianchi, Bascheni, Rossi. Il bilancio di quella prima partecipazione è lusinghiero: secondo posto alle spalle del qualificato Vicenza, sette punti in sei partite e la precisa consapevolezza di essere entrati nell'élite, anche se gli odiati cugini vicentini hanno avuto la meglio. Gli anni successivi vedranno la compagine scaligera sempre in primo piano nell'ambito regionale, ma decisamente in condizioni di netta inferiorità di fronte alle "grandi" degli altri gironi settentrionali, specie le piemontesi Pro Vercelli e Casale.

Sotto, l'Hellas 1912-13. Tra i giocatori gialloblù spicca Liniger (il 4° da sx), primo straniero della storia dell'Hellas.

Sono anni di epos e calcio avventuroso da pioneri, gli anni di Bascheni, l'interno che nel 1912 realizzò contro il Venezia un favoloso gol da metà campo; gli anni, della coppia di bombardieri Bianchi-Vigevani: l'uno agile e tecnico, dalla botta micidiale e precisa, l'altro bassotto ed in possesso di un tremendo tiro al volo con entrambi i piedi; gli anni del primo straniero approdato in riva all' Adige: si chiamava Liniger, era svizzero e biondo, faceva l'impiegato e già aveva spopolato in patria nel Basilea: fu tesserato per i colori gialloblù senza stipendio ma con tanto entusiasmo; anni infine di gol a grappoli, come il 1914, quando gli elladini realizzarono la bellezza di 52 reti in 16 partite complessive, con capo-cannoniere l'estroso trampoliere Corsi, l'uomo delle fughe a rete irresistibili.

 

Anni che bruciano come fragile carta al fuoco spietato della guerra, che dal '15 al '18 travolge gli uomini e lo sport, gli uni e l'altro soffocando nel suo mortale abbraccio di sangue.

FUSIONE. La ripresa, al riapparire del sole della pace, è difficile, i motori del calcio ve- ronese stentano a mettersi nuovamente in moto, anche perché si presentano inattese difficoltà per lo stadio: già all'immediata vigilia del conflitto il Comune aveva revocato alla società gialloblù la disponibilità del campo Bentegodi, e i dirigenti dell'Hellas avevano ovviato costruendo un nuovo impianto fuori Porta Palio, nella zona industriale denominata "Isola di Rodi". Senonché a guerra finita il nuovo campo si trovava requisito dalle autorità, e quindi in condizioni di indisponibilità: impossibile d'altronde accordarsi con la società Bentegodi, che pretendeva, per l'utilizzazione del proprio campo, l'assunzione del suo stesso nome.

Si arriva cosi ad un'altra data storica: per irrobustire il dissanguato telaio societario, viene operata la fusione tra l'Hellas A.C. e un piccolo sodalizio locale, il Verona football club, che disponeva di una squadra più entusiasta che competitiva. AI simbolo della classicità viene cosi aggiunto il nome della città che in effetti la squadra ha tutti i mezzi, ora e più ancora in futuro, per rappresentare degnamente. E il campo di questo Hellas-Verona nuovo di zecca? Detto e fatto: un generale del luogo, di nome Zoppi, vede e provvede, mandando un plotone di genieri a trasformare in campo da calcio un terreno incolto alla periferia della città, in Borgo Venezia. In tre giorni il gioco, anzi, il campo da gioco, è fatto.

Sotto, un'immagine datata 1928-29. Hellas e Bentegodi dopo anni di liti si uniscono nel Verona.

 

LEVRATTO. Gli anni che seguono non brillano di particolari bagliori tecnici: uscita dalla guerra con paurosi vuoti da colmare nei propri ranghi, la compagine gialloblù stenta ad acquisire una dimensione agonistica che superi la mediocrità: dal 1920 al 1929 disputa tutti e dieci i tornei di prima divisione, senza mai conquistare la qualificazione nel proprio girone. Nel '23, al termine del campionato, c'è però la conquista del primo trofeo: la "Coppa d'Oro", disputata a Modena tra Pro Vercelli, i neo-campioni d'Italia del Genoa, Bologna, Cremonese e appunto Hellas Verona. C'è quindi nell'occasione un bel po' di crema del calcio nazionale, e tra le file veronesi gioca, strabilia e segna un certo Felice Levratto, l'attaccante poi passato alla storia come lo sfondatore di reti, che sarà il primo gialloblù a vestire la maglia della Nazionale. In chiusura, un curioso episodio: le medaglie d'oro spettanti ai vincitori, per un banale scambio, finiscono ai secondi classificati della Cremonese, e i veronesi devono accontentarsi di banali esemplari in vermeil. Felice Levratto disputò due stagioni favolose con i colori gialloblù, prima di volare verso orizzonti di maggior gloria: le sue punizioni erano talmente terrificanti (proprio come i calci di rigore, che batteva da fermo) che pare le barriere si dissolvessero come d'incanto a gambe levate un attimo prima che il pallone venisse colpito, con quale soddisfazione dei portieri è facile immaginare. I campionati passano, assieme ai primati, talvolta positivi, come il terzo posto nel proprio girone nel 1926, talvolta negativi, come l'umiliante 0-11 subito nel '27 a Genova ad opera dei rossoblù locali, trascinati da Chiecchi III, ex gialloblù fresco di trasferimento sotto la Lanterna (i tifosi veronesi inferociti avevano tentato di bloccarne la cessione addirittura con un blocco ferroviario alla stazione di Porta Nuova): l'attaccante segna nell'occasione ben sei reti.

RETROCESSIONI. Proprio questo catastrofico punteggio è l’emblema di una crisi, neanche tanto strisciante, che in quell'anno e ancora di più nel successivo travaglia la squadra: tanto che, dopo le prime batoste: del campionato ‘28-‘29 si cerca di porre riparo alla discesa verticale ricorrendo alla fusione con la Bentegodi, la società cittadina che militava in seconda categoria, e dando vita all'Associazione Calcio Verona (l'Hellas nella denominazione sociale ritornerà solo dopo molti anni): un provvedimento che non sortirà l'effetto desiderato. Al termine della stagione, che prelude al primo campionato di Serie A a girone unico, la squadra si ritrova infatti al dodicesimo posto e retrocede in Serie B. Si tratta di uno scivolone addirittura storico: nessuno all'epoca può immaginare che per rivedere la luce della Serie A i gialloblu, dovranno percorrere un tunnel lungo ben 28 anni. Le stagioni della serie cadetta sono percorse da radi brividi tecnici: nei primo anni 30 il Verona lancia un giovane portiere che sarà campione del Mondo nel 1938, Aldo Olivieri, mentre la gente si spella le mani per applaudire l'estrema sinistra Bruno Biagini, autentico mattatore d'attacco dell'epoca, specialista nel calciare in porta direttamente dal corner. Nel ‘40-‘41, proprio nell'anno in cui comincia a rombare anche per il nostro Paese il sinistro tuono della guerra, arriva la prima e unica retrocessione in c: il cuore d'altronde non è in campo, ma altrove... Dopo due stagioni di purgatorio il ‘42-‘43 segna il ritorno alla Serie cadetta: è l'anno di Pellicari, uno dei primi terzini fluidificanti del calcio italiano, capace di ribaltare ogni situazione tattica con improvvise arrembanti fughe sulle piste del gol, e del mediano Cingolani, centrocampista dalla classe cristallina, col radar nei piedi per indirizzare passaggi sempre precisi al millimetro. Poi la guerra seppellisce di nuovo uomini e cose, il calcio va in letargo nella stagione dei morti e del terrore, gli stessi spalti del Bentegodi (cui i gialloblù erano tornati dopo gli anni di Borgo Venezia) vengono centrati da un bombardamento aereo.

RESURREZIONE. Primavera 1945: c'è aria di ricostruzione, per la gente che riemerge dal tunnel: alla resurrezione dei colori gialloblù provvede il deus ex machina della situazione, "el sior Giovani" Chiampan, il più grande presidente scaligero di tutti i tempi, che reggerà le sorti della società per 10 anni. Per prima cosa, dopo una dura lotta con le autorità comunali, riesce a far installare, grazie a moderni tubi di ferro, nuove tribune che aumentano la capienza del vecchio e ormai angusto Bentegodi. Poi le tenterà tutte, durante il suo lungo mandato, pur di restituire i colori gialloblù alla massima serie, ma invano: nel ‘46-‘47 assume persino un allenatore ungherese, Venicech, autentico maestro di football, intransigente cultore della preparazione tecnica di base. Celebre il suo motto preferito: "Se un giocatore non sa stoppare il pallone, o impara o cambia mestiere": e per metterla in pratica costringeva i possessori dei piedi meno docili a ore e ore di esercizi di palleggio contro il muro di cinta dello stadio. La tanto sospirata promozione arriverà però solo nel 56-57, sotto la presidenza di Giorgio Mondadori (foto a destra) e con la guida tecnica di Angelo Piccioli.

Fallita la "ricostruzione" nel dopoguerra, Giovanni Chiampan lascia la presidenza del Verona a Giorgio Mondadori (nella foto), il quale mostra subito di avere grandi ambizioni. Riuscirà a soddisfarle portando per la prima volta l'Hellas Verona nell'elite del calcio.

 

SOGNO. Un sogno, un vero e proprio sogno che dura lo spazio di... una notte: il risveglio avviene immediatamente al termine del campionato successivo, con una pronta retrocessione. La squadra termina buona ultima, ma il caso di illecito Azzini-Casari, che provoca la retrocessione a tavolino dell'Atalanta, regala ai gialloblù una prova d'appello, sotto le specie di un doppio spareggio col Bari. Il Verona di Osvaldo Bagnoli e dell'asso brasiliano Emanuele Del Vecchio, però, è ormai psicologicamente in disarmo e soccombe in entrambe le occasioni. Gli effetti dello scivolone sono traumatici; Giorgio Mondadori si dimette, e qualche tempo dopo la dirigenza cerca di correre ai ripari mediante una nuova fusione, l'ennesima. Questa volta il connubio viene celebrato con una società cittadina approdata alla Serie C, l'Hellas, che se non altro consente un ritorno alla tradizione: la denominazione sociale è ora di nuovo Hellas-Verona, proprio come nei lontani anni dei pionieri. L'anno successivo il gran colpo viene tentato con l'ingaggio di uno sconosciuto norvegese, Finn Gundersen, noto in patria più che altro come mattoide giocatore di hockey su ghiaccio, specialità per la quale ha anche vestito la maglia della Nazionale del suo Paese. Riesce in effetti a non deludere, ma solo quando non scende in campo: dopo sole due partite disputate viene rispedito al mittente, pur tra i mugugni di non pochi tifosi scontenti. Nonostante le belle prove e le reti di Bagnoli (15 gol il suo bottino finale), la squadra non ingrana, il trainer viene sostituito e insomma è un'altra stagione interlocutoria, nobilitata solo, per la storia, dall'esordio di un diciassettenne che sarà un giorno vicecampione del Mondo: Pier Luigi Cera. Gli anni ricominciano a snocciolarsi, sul gran rosario del tempo, ma la B, nuovamente, appare una sorta di invincibile sortilegio. Ad addolcire le pillole cadette viene solo, nel 1963, la costruzione, da parte del Comune, di un bellissimo stadio, il nuovo Bentegodi, un impianto decisamente da Serie A.

Liedholm e Garonzi nel 1967/68: i risultati sono buoni ma a fine stagione arriverà il divorzio.

SVOLTA. La svolta decisiva si avrà nel 1967: con la squadra che si dibatte sul fondo, vengono chiamati alla direzione tecnica, dall'ultima giornata dell'andata, Nils Liedholm e Ugo Pozzan: il Verona non solo si salva, ma vengono anche gettate le basi per la resurrezione, che arriverà puntuale l'anno successivo, grazie agli acquisti del neopresidente Saverio Garonzi. Poi la stagione del sospirato ritorno, la stagione di Bui, trampoliere del gol, e dei cervelli Mascetti e Maddè, quella in cui Liedholm (insieme con Pozzan) abbozza il primo dei suoi capolavori di tecnico. Con una delle sue tipiche decisioni a sorpresa, però, Garonzi lo licenzierà (a favore di Cadè) all’indomani del trionfo.

 

IERI E OGGI. Siamo ormai arrivati a ieri. Gli anni che seguono ci portano ai giorni nostri, in un rapido film, attraverso vari allenatori (da Cadè a Lucchi a Pozzan e poi ancora a Cadè nel primo periodo); alcune storiche imprese (come il 5-3 rifilato al Milan nell'ultima giornata del torneo 72-73 che sottrasse ai rosso neri uno scudetto che sembrava già vinto); le gesta di astri di provincia come Zigoni, Sirena, Busatta e Franco Bergamaschi; una retrocessione a tavolino nel '74 per una telefonata galeotta (quella di Garonzi all'ex Clerici prima di I un match col Napoli, oggetto una concessionaria Fiat in Brasile; foto sotto); una immediata promozione l'anno successivo, grazie allo spareggio vinto a Terni contro il Catanzaro (in panchina Mascalaito era subentrato nel corso della stagione a Cadè, quando la squadra era seconda in classifica); tre stagioni (dal '75 al '78) con Ferruccio Valcareggi al timone e l'esplosione di talenti come Bachlechner, Ginulfi e Superchi, Guidolin e Fiaschi; una nuova retrocessione in B (nel ‘78- ‘79, allenatori Mascalaito e poi Chiappella); lo storico addio di Garonzi, che aveva dovuto subire nel frattempo anche un lungo rapimento; la sua sostituzione travagliata, prima con Brizzi, ex capotifoso e attuale presidente del Bologna, e poi con Tino Guidotti; il fiasco di Veneranda con lo squadrone del ‘79-‘80, anno della consacrazione (sia pure cadetta) di Beniamino Vignola, talento indigeno, e degli ultimi, malinconici fuochi del trentaseienne centravanti Boninsegna; il quarto ritorno di Cadè (‘80-‘81) e infine l'avvio del nuovo corso.

Siamo nel 1974: i veronesi scendono in piazza dopo la sentenza della CAF che ha spedito in serie B l'Hellas a causa della famigerata telefonata di Garonzi. Questa manifestazione unita ai tentativi di bloccare la stagione lirica e alla raccolta firme per sollecitare una revisione del processo non porterà all'esito sperato e così il Verona dovrà tornare tra i cadetti. Per fortuna per poco tempo.

 

La presidenza Guidotti-Di Lupo azzecca infatti nell'estate dell'81un autentico tredici al totocalcio, richiamando a Verona quello che si rivelerà un vero proprio "mago" di abilità e competenza, l'ex ala gialloblù Osvaldo Bagnoli. Tecnico alieno dalla facile pubblicità di proclami roboanti e delle interviste-scoop, tutto dedito a parlare l'inequivocabile linguaggio dei fatti, il tecnico milanese arriva a Verona, vede e vince subito. Primo nell'82 in Serie B l'anno successivo pilota la squadra alla stagione più esaltante della sua storia, con un quarto posto finale che significa partecipazione alla Coppa Uefa. I saliscendi degli ultimi decenni sono finalmente alle spalle. Dopo le imprese di Fanna, rigenerato fuoriclasse di caratura europea, Dirceu e Penzo, una nuova stagione, quella dell'ottantennio, è da poco cominciata: sotto il segno di una straordinaria doppia vittoria nel primo turno di Coppa contro la Stella Rossa di Belgrado. Come dire, ottant'anni portati bene, anzi, benissimo. E la leggenda continua...