Dal "Guerin Sportivo" del 9 – 15 febbraio 1983 IL PERSONAGGIO / ROBERTO TRICELLA A ventitré anni è già un "anziano" del Verona e perciò ne è il capitano. Un difetto: dimentica gli appuntamenti. Una virtù: prende le cose con ironia, senza drammatizzare mai. Un gesto scaramantico prima di scendere in campo. LIBERO, SINO A GIUGNO Di Valeria Benatti VERONA. Parlare con Roberto Tricella, libero del Verona, sembrerebbe impresa da poco: in effetti, lui si mostra sempre estremamente disponibile e accattivante con tutti, che mai potresti supporre che per ottenere un'intervista occorra un mese. Non si tratta di preziosismo di divo, né di megalomania; semplicemente, Tricella dimentica gli appuntamenti. È capace di prenderne tre nello stesso giorno e di non presentarsi a nessuno: non per cattiveria, Roberto è fra l’altro persino un buono. Dopo varie e lunghe attese abbiamo deciso di bloccarlo durante un ritiro con la squadra, sicuri che lì non avrebbe potuto mancare. Infatti sul lavoro è puntualissimo. Giocoso, allegro, spensierato, si lascia proporre le domande come se dovesse assolvere a un compito piuttosto noioso, e, passata la prima mezz'oretta, comincia a scalpitare impaziente: ha voglia di giocare a briscola coi compagni, meglio sbrigarsi.- Sembra che non ti interessi molto curare la tua immagine pubblica: come mai? "Perché per ora non ha troppa importanza per me; non ho voglia di pensarci, né mi sono mai posto questo problema". - Eppure miri in alto. professionalmente... "Come chiunque intraprenda qualsiasi lavoro; persino un bambino appassionato di calcio sogna di giocare in Nazionale". - E tu dove vuoi arrivare? "Non mi piace pormi dei traguardi precisi: so solo che devo ottenere il massimo da me stesso." - È questione di volontà o di possibilità? "Ci vuole l'una e l'altra, e poi il successo dipende anche dagli altri". - Alludi a manovre di potere o a selezioni naturali? "I successi "pilotati" durano sì e no una stagione. Poi, è inevitabile che resti chi veramente è bravo." - A ventitré anni sei il capitano di una squadra d'alta classifica: perché proprio tu? "Sono a Verona da quattro anni, ed ho perciò maturato il maggior numero di presenze... " - Speravo di strapparti un autoelogio: fai il modesto? "Ma no. È che davvero non voglio badare alle valutazioni folli che fanno i giornalisti: se le ascoltassi, rischierei di perdere la testa!". - Invece vuoi stare coi piedi ben piantati a terra, vero? "Trovo che qualunque campione debba avere un grosso equilibrio se vuole diventare o restare tale". - E tu l'equilibrio come lo raggiungi? Fai yoga, preghi o cosa? "Ci s'arriva da soli, gradualmente; è qualcosa comunque che deve maturarti dentro, per diventare davvero forza d'animo". - Così si impara anche ad avere forza di reazione: tu come reagisci alla sventura, alle difficoltà? "Con ironia: è importante saper vedere tutte le cose anche sotto una luce umoristica, scherzosa". - Quando t'è più servita questa filosofia? "Mentre facevo il militare. Ero a Barletta per il CAR e c'era una crisi generale davvero pericolosa. lo ero avvantaggiato rispetto agli altri perché sapevo che per me sarebbe durato poco, infatti mi trasferirono a Bologna per permettermi di continuare a giocare. Però ricordo che riuscii a sdrammatizzare molte situazioni difficili con un sorriso, una battuta di spirito". -In complesso l'esperienza militare t'è servita o no? "A parte il disastro di una invasione di mosche dovuta alla carne avariata, non mi sono trovato poi tanto male!" - E a scuola com'eri? Cosa ti piaceva studiare? "Ho fatto radioelettronica, ma forse non era proprio l'indirizzo più adatto per me; comunque riuscivo bene in matematica e nelle lingue straniere". - Poi ti sei iscritto a giurisprudenza ma non hai continuato: come mai? "Innanzitutto perché è difficilissimo riuscire a lavorare e a studiare contemporaneamente, e poi perché credo di aver sbagliato facoltà" - Ci riproverai? In fondo hai solo 23 anni. "Le idee sono molte: certo ci ti terrei, perché so perfettamente che devo crearmi delle alternative. Nessuno ti regala mai niente, dunque il mio futuro è nelle mie ti mani: chissà!". - Quali sono i tuoi programmi più immediati? "Mi sposo a giugno con Renata" - Puoi dire qualcosa in più su al di lei? "Ha ventidue anni, è di Milano come me, la conosco da tantissimo tempo e… basta". - Come sogni la tua futura famiglia? "Vorrò un paio di figli, ma non adesso, tra qualche anno". - Ora intanto vivi con Torresin, il portiere in seconda: come va il vostro "menage"? "Bene, sappiamo farci da mangiare e laviamo i piatti a turno". - Fai una specie di rodaggio insomma… "Veramente più si avvicina giugno, più ho voglia di uscire con gli amici, di divertirmi, perché è chiaro che poi vorrò stare a casa, e avrò ritmi diversi". - Finora puoi comunque dire di avere avuto una vita tranquilla? "Normale, direi: mio padre, che era operaio, desiderava che studiassi. L’ho fatto senza problemi, anche perché trovo che non sia così difficile: si tratta di chiedersi cosa si vuole e, una volta decisa la strada da percorrere, seguirla con coscienza". - È una maturità logica ma non per tutti così facile, così evidente… "Io in questo modo sono sempre riuscito a conquistarmi tutto". - Certo sai quello che vuoi. Ed ora che il calcio è diventato un lavoro, non ti diverti più? "Una volta lasciata la "primavera" e quindi i coetanei, cambia tutto: fra professionisti ti accorgi che c’è gente che ha 30 anni e famiglia, per cui non è più un gioco, per forza". - E cosa succede? Come si vive questo cambiamento? "Ci si sente più nervosi ma anche più responsabili. Ti accorgi che milioni di persone ti guardano e che devi assolutamente riuscire a concentrarti". - Tu fai fatica? "Quando ero militare si. Dopo la settimana in caserma mi sentivo svuotato e distratto. Ma ora, quando entro in campo, penso solo al pallone". - Come vivi la domenica mattina? "Comincio ad agitarmi verso mezzogiorno. Ma quando inizia il riscaldamento è già passato tutto". - Scaramanzie? "Beh, si, mi faccio la barba solo la domenica mattina, appunto. Ma più che altro è perché ne ho ancora talmente poca!" E, dicendo questo, Roberto ride. Imberbe giocatore dall’animo semplice, dal viso di bambino, sembra ignorare tutto quello che succede fuori, nel mondo dei grandi. |