Dal "Guerin Sportivo" del 28 aprile – 3 maggio 1983 IL PERSONAGGIO/LUCIANO SPINOSI Nel suo futuro ci sono progetti da allenatore, alle sue spalle una carriera luminosa e una storia di tenacia e volontà. Sogna Roma, ma vive con serenità il periodo veronese, ultima "voce" di un bilancio tutto positivo LUCKY LUCIANO di Valeria Benatti C’È CHI IL SUCCESSO ce l'ha nel sangue. Luciano Spinosi è uno di quei fortunati capaci di uscire dalle mille battaglie della vita sempre da vincitore e, come nei film, fresco, riposato, perfettamente in ordine. Ha trentatré anni ben portati, un viso dai lineamenti regolari che piace alle donne, un fisico ovviamente atletico e scattante. Spinosi è un uomo che emana sicurezza, che ispira fiducia, che invita alla confidenza. Grande intrattenitore, ama talvolta cullarsi nei ricordi e raccontare i molti begli episodi che ha vissuto. Pare che questa debolezza sia stata penalizzata dai colleghi gialloblù con un coretto ad hoc che fa: "Remember!". Gli viene cantato, ogni volta che si dilunga troppo, dalle gole spiegate dei vari Tricella, Volpati, Marangon. A quel punto l'incanto del passato viene interrotto, e non val più la pena di continuare. Con noi però è diverso, gli abbiamo assicurato che non verrà preso in giro, che anzi daremo in pasto alla stampa i suoi ricordi, la sua vita, la sua umanità. Cominciamo dall'inizio: com'era la tua famiglia? |
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"Mio padre era un vero appassionato di calcio, tanto che alla domenica trascinava sempre anche mia madre allo stadio; per di più mio fratello Enrico, che ha diciotto anni più di me, giocava già nel Cagliari, dunque io ho sentito parlare di sport fin da piccolo". - Una carriera segnata, un destino a cui non ti sei ribellato? "Non solo ero anch'io attratto dal pallone, ma avevo una certa sicurezza interiore, determinata forse dal positivo esempio di mio fratello, che mi spingeva a fare quella scelta". - Hai insomma iniziato prestissimo... "Sì, però a dieci anni sono finito sotto una macchina fratturandomi tibia e perone. Per un anno e mezzo ho camminato col bastone e ho creduto di dover abbandonare i sogni di gloria". - Invece cos'è successo? |
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Luciano Spinosi nella figurina dell'epoca. |
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"Enrico mi è stato molto vicino. Ricordo che era lui a farmi la rieducazione, tanto che alla fine ho ripreso a calciare: prima al villaggio Breda, poi nelle varie succursali della Roma, finché ho esordito a diciotto anni in serie A". |
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- E con la tua squadra del cuore... "Puoi dirlo. È stato un compleanno meraviglioso". - Dopo due anni sei stato trasferito a Torino, dove sei rimasto per otto stagioni: come ti sei trovato? "Con la Juve non si può star male, e poi a quel tempo abbiamo vinto tutto il vincibile, era un trionfo continuo". - Rose e fiori, senza spine? "Beh, no, le spine ci sono sempre: nel '72 mi sono fratturato la schiena e sono rimasto bloccato per un mese; nel '74 poi ho subito un incidente ancor più grave: con il bacino rotto ho praticamente dovuto ricominciare tutto da capo e dire addio ai massimi livelli della nazionale". - Cos'altro ricordi di Torino? "È la città dove ho incontrato mia moglie Roberta, dove è nato mio figlio Lodovico, dove ho vinto la battaglia con me stesso per riprendere a giocare". - Come hai fatto a vincerla? "È stata una questione di orgoglio personale, di carattere, se vuoi: dovevo dimostrare a me stesso di riuscire ancora". - Certo, sei tenace. Pare che ti sia anche diplomato piuttosto tardi, per cocciutaggine... "Ho fatto ragioneria a Torino nelle scuole serali; ho finito a ventotto anni ed è stata piuttosto dura perché avevo già il lavoro, la famiglia; Ma quando pensavo di essere stanco guardavo quelli che erano in classe con me: gente che lavorava magari in fabbrica otto ore e che poi veniva li. Allora ero spronato a continuare". - Riprendendo il tuo curriculum, c'è il ritorno a Roma e poi l'arrivo, quest'anno, a Verona. Qualcuno ha ipotizzato una seconda giovinezza, visto il successo... "In realtà più passa il tempo e più mi sento giovane". - Non è cambiato nulla dalle prime partite? "C'è qualcosa di diverso: ormai mi emoziono pochissimo, ad esempio, quasi nulla. Ho sentito un nodo in gola solo all'inizio di Roma-Verona; poi niente". - Dagli esordienti però sei guardato, ovviamente, come un vecchio: tu con che occhi guardavi i trentenni quando avevi vent'anni? "Con enorme rispetto, quasi soggezione. Ricordo che, se c’erano posti scomodi sul pullman, quelli toccavano sempre a noi". - E adesso non succede più? "No, ma forse è meglio; non so. Ma sai cosa manca davvero oggi? Mancano i veri giocatori. Gente come Rlvera, Bulgarelli, De Sisti non se ne vede più". - Ma come, se abbiamo vinto i mondiali? "Già, però c'è poca tecnica e molto agonismo. Un tale diceva che anche il treno corre, ma non ha testa". - Perché una squadra come la Juve è in crisi, secondo te? "Per lo stress dei mondiali, per la conseguente preparazione blanda e perché viene sempre affrontata al massimo dato che è formata dai campioni ufficiali". - La fama talvolta diventa scomoda... "Infatti: la verità è che meno si parla e meglio è. Se noti, i grandi tacciono: la diplomazia indubbiamente serve". - Diplomazia significa anche menzogna? "Spesso mentire è molto conveniente, tranne che con la moglie e i pochi veri amici". - Chi sono i tuoi amici? "Nel calcio soprattutto Falcao. Quando vado a Roma ci troviamo per giocare a tennis insieme a Panatta e Barazzutti". - Ci sono altri personaggi famosi a cui sei legato affettivamente? "Allodi, perché mi ha insegnato a sorridere della vita. Poi Liedholm, perché mi ha aiutato ad aver fiducia in me, poi ancora Picchi, Vitale, Herrera ed ora Bagnoli". - Guardando indietro, c'è qualcosa che non rifaresti? "Ripeterei tutto, errori compresi. Forse cercherei di essere più accorto, più paziente, meno impulsivo, ma sono lati che fanno parte del carattere più che dell'età". - E se volgi lo sguardo in avanti, lontano, cosa vedi? "Vedo uno Spinosi allenatore. Mi piacerebbe tornare a Roma per insegnare ai ragazzini, per continuare a respirare l'aria del campo, degli spogliatoi, dello sport". - Insomma, i tuoi amori sono la famiglia, il calcio e la capitale? "Esatto, mi sento profondamente romano, adoro il sole, lo stare a tavola, la comodità, la compagnia". - I romani hanno anche alcuni difetti macroscopici: tu quali ti riconosci? "So di dare l'impressione, talvolta, di essere un po' menefreghista. Il mio però è solo un atteggiamento, riconosco che e il tipico "attacco del timido"". - Vorresti dire che sei pure timido? "Lo so, nessuno ci crede, pero e proprio così". |