Dal "Guerin Sportivo" n.48 del 1-7 dicembre 1982

CAMPIONATO / IL LOMBARDO-VENETO

Sull'asse Inter-Verona corre la resistenza alla coppia-regina formata da Roma e Juventus: la squadra milanese ha ritrovato i talismani di Marchesi e soprattutto i gol vincenti del rilanciato Altobelli

PUNTI-SPILLO

di Marino Bartoletti

LA RESISTENZA corre sull'asse Milano-Verona: più o meno come ai tempi di Radetzki e del Lombardo-Veneto. Il quadrilatero del potere, invece, è più vasto (anche se un po' sghembo e molto fluttuante): Torino-Milano-Verona-Roma. E c'è dentro tutta la storia dell'unità d'Italia. Rispetto alle previsioni manca Firenze che, d'altra parte, anche negli annuari del Regno ebbe vita ambiziosa ma fugace, favorendo in pratica allora (e anche oggi?) il trapasso di poteri fra Torino e Roma. Sono in rotta i Borboni e, in mancanza di Garibaldi, è bastato Giagnoni (stesse iniziali dell'eroe- G.G. - e luogo di nascita non lontano da Caprera) a metterli in fuga. Giacomini è l’ennesimo generale mitteleuropeo ad aver fallito nel sud-Italia. Questione di pelle, forse: in fondo, anche il comandante delle truppe del Volturno era delle parti di Udine. Nel doppio misto della domenica il game è andato al team orientale (quello che abbiamo definito della resistenza). Da una parte Juve e Roma (un punto in due), dall’altra Inter e Verona (tre punti complessivi). Il gioco delle coppie è in perfetta parità: trenta punti in classifica i lombardo-veneti, trenta punti gli incestuosi alleati savoiardi-papalini. E ben venga l’intervallo della Nazionale per riordinare le idee degli eserciti e dei condottieri.

POKER. Il campionato era davvero diventato una partita a poker. I bluff, varcato il terzo del cammino, non sono più consentiti. Ci aveva provato la Sampdoria, ma ha finito presto le fiches ed è stata sostituita dal Verona. E la tavolata si è fatta classica: quattro giocatori, non uno di più: con la Fiorentina sin dall'inizio relegata al ruolo del "morto". Ma se Roma e Juve rappresentano la "norma" (con una Juve, però, afflitta di agorafobia; appena mette il naso fuori si sente venir meno), Inter e Verona resentano l'exploit forse inatteso. Addirittura "inattesissimo" quello scaligero: tanto più se si pensa che, a parte le modeste ambizioni dell'avvio, l'arrivo di Dirceu era stato interpretato più come un presagio di tempesta che come una testimonianza di allegria.

RULLO. E invece, guardate il ruolino di marcia della squadra di Bagnoli, il vero rullo compressore occulto del campionato è proprio quello - ohibò - che viene dalla mite città di Romeo e Giulietta. E c'è di più: se Penzo e soci non avessero lasciato quattro punti su quattro nelle due giornate iniziali a Inter e Roma, ipotizzando anche una duplice spartizione di punti, ora sarebbero soli in testa alla classifica con almeno due lunghezze di vantaggio sulle antagoniste "titolate". Bagnoli, grande maestro di saggezza, rifiuta di riconoscere Juve, Inter e Roma come... rivali nella corsa per non retrocedere. Dunque proviamo a seguirlo nel suo ragionamento: ancora nove, dieci punti e poi la quota-salvezza dovrebbe essere raggiunta. Però, da quel momento in poi, perché il buon Osvaldo, per la prima volta in dieci stagioni di magnifica silenziosa carriera da allenatore (e per la prima volta - attenzione - alle prese con la serie A), non prova a pensare a quell'affare tricolore che si appende sul petto e di cui sentì l'odore da giocatore, in maglia rossonera, giusto 25 anni fa? O ci vuole forse far credere che le sue ambizioni si fermano alle promozioni in serie C (Fano) e in serie A (Cesena e Verona)? Bagnoli, professore di umiItà, uomo provato dalla vita, non crede alle fatture: non amerebbe mai, dunque, che lo insultasse chiamandolo "mago". Ma il Iavoro, la competenza, la modestia non sono opera della magia. Ha messo in piedi una squadra-Arlecchino, pescando ritagli persino dal nemico (Spinosi, Marangon e Fanna): ma Arlecchino non era forse il più arguto, il più vivace, in fondo il più "vincente" - a modo suo - di tutte le grandi maschere?

RIFIUTI. E la cosa più incredibile di questo Verona che - lo ribadiamo - dopo la seconda giornata era l'ultimissima di tutte le squadre della serie A, è che è stato letteralmente assemblato con quelli che la critica aveva definito un "branco di rifiuti": il "rifiuto", Fanna, il "rifiuto" Penzo. Lo stesso "rifiuto" Dirceu. L'unico "non rifiuto" - Zmuda - non ha mai giocato: dunque il Verona è l'unica squadra di vertice, ad aver operato, fino ad ora, con un solo straniero. Ebbene domenica la squadra dei "rifiuti" ha inchiodato la squadra degli eletti" (non per nulla la Fiorentina è stata costruita solo con pezzi di prima scelta). Per poco non si assisteva ad un disastro ecologico. Si è solo assistito al trionfo del buon senso. Che, quest'anno, è targato VR. Marcello Giannini a Novantesimo Minuto ha detto che "il Verona ha deluso". Potenza delle fette di prosciutto viola! Se prima dell'inizio del campionato i Pontello avessero immaginato un 1-1 interno con la Fiorentina, costretta ad inseguire e a rimediare solo in extremis, avrebbero cacciato via De Sisti per "fumus criminis".

ZONA-INTER. Ma se quello del Verona è un autentico, stupendo miracolo (con alla base - intendiamoci - tanto buon lavoro), quello dell'altra seconda squadra in classifica, l'Inter, è un prodigio di avanzamento mimetico. Partita, certo, fra le favorite (ma non fra le favoritissime), la squadra nerazzurra era riuscita ad imboscarsi sin dalle giornate iniziali. Dapprima vincendo proprio a Verona, poi procurandosi guai in

serie in casa. Ecco, se la Juve soffre di agorafobia, rlnter sembra soffrire di claustrofobia: fra le mura di San Siro combina più pasticci che buone cose, salvo poi rimediare con incredibili giochi di prestigio esterni come quello sciorinato ad Avellino. Ha una forza, la squadra di Marchesi: quella di aver acquistato, per quest'anno, il "copyright" della zona-Cesarini. Quasi metà delle partite le ha risolte (o rattoppate) con gol negli ultimi due-tre minuti: la balordaggine con cui - proprio negli ultimi istanti - ha gettato via la vittoria col Napoli è probabilmente l'eccezione che conferma la regola. C'è un leit-motiv fra il buon campionato del Verona e quello dell' Inter: gli allenatori milanesI. "Cittadino" Bagnoli, "burino" (di San Giuliano) Marchesi. Entrambi vecchi lavoratori lombardi infaticabili. Entrambi saggi. Entrambi, al- meno quest'anno, decentemente fortunati. Marchesi, chi lo conosce lo sa, vive di calcio, di enigmistica e di Beethoven. Riesce a vivere, invece, senza Beccalossi: ma - e sta qui il crogiuolo dei suoi meriti che si sposano con la meritata buona sorte - sa tirar fuori proprio Beccalossi nell'esatto momento in cui c'è da far gol. Così come Beethoven sapeva mettere il giusto crescendo nelle sue sinfonie (Marchesi, per la cronaca, ama le "dispari", quelle col finale più roboante). E così, come il bravo enigmista, sa trovare in extremis la formula che gli risolve il rebus. E sa vincere nel giorno in cui la difesa perde due uomini di valore come Collovati e Bergomi. Evidentemente la fortuna - almeno nel calcio - è tutt'altro che cieca. Sa scegliere con cura i suoi obbiettivi. Ha dimenticato però un altro milanese: Trapattoni Giovanni, di Cusano Milanino. Se Liedholm fosse nato alla Bovisa, invece che a Norkoeping, il premio per lo scudetto potrebbe essere un panettone d'oro. Pandoro (di Verona) permettendo.