Dal "Guerin Sportivo" del 23 febbraio – 1 marzo 1983

IL PERSONAGGIO / LUCIANO MARANGON

Fama di play-boy gaudente e realtà di ragazzo solo e malinconico.

Dov’è la verità? In questa intervista-confessione, il terzino gialloblu rivela i sentimenti che normalmente si impone di tenere nascosti

UN BELLO IN MASCHERA

Di Valeria Benatti

VERONA. Marangon ha la particolarissima capacità di far parlare di sé, sempre. Tre città negli ultimi tre anni, e una scia di pettegolezzi che lo accompagnano ovunque. Dopo Napoli e Roma, a Verona sperava di trovare, se non la pace, almeno l’emarginazione della provincia: sarebbe stato finalmente possibile calare un velo pietoso sul passato travagliato. Guarda caso, proprio quest’anno, l’Hellas sta superando le aspettative e le… concorrenti, per cui l’attenzione nazionale è rivolta alla città sulle rive dell’Adige dove c’è, appunto, fra gli altri, il prode Luciano. Per questo lo hanno chiamato anche "jolly portafortuna". Lo incontriamo nel ristorante dove è solito consumare i suoi pranzi. La sera preferisce un locale provvisto di discoteca. Dopo gli allenamenti, invece, passeggia in centro, oppure sta con i tifosi di Borgo Trento, quartiere d’èlite. Sembra insomma decisamente introdotto, a sentire anche dalle chiacchiere che gli attribuiscono, con sussurri compiaciuti, amori a non finire. Ma di questo parleremo in seguito: intanto cominciamo l’intervista, osservando che anche i camerieri lo conoscono bene: gli portano il "solito" cocktail di gamberetti con la "solita" Ceres. Lo vediamo ben sopportare la noia della celebrità: sembra assolutamente noncurante, ma la sua realtà è diversa. Vediamola.

- Vorremmo scoprire cosa c’è dietro il calciatore Marangon.

"Sono disponibilissimo, per quanto non so fino a che punto alla gente interessi la mia vita privata".

- Al contrario, sai bene che si parla molto di te "in borghese".

"Sono tutte fandonie che non assomigliano nemmeno alla verità".

- Dunque qual è la verità, se esiste?

"Quella che nessuno conosce, quella nascosta: se la gente mi vede ogni sera in discoteca con una ragazza diversa e vuole immaginarmi play-boy, non mi interessa. Ma comunque non è così".

- Vorresti sostenere l’incredibile tesi della doppia vita?

"No, ma non si può nemmeno ridurmi esclusivamente a ciò che faccio. E poi c’è una ragione a tutto, ma questo forse non interessa".

Qui finisce che scopriamo un angioletto vestito da diavolo: spiegati.

"Il mio problema è che non sono capace di stare solo: odio la solitudine perché mi rende triste. Perciò sono sempre fuori, in cer- ca di persone, dI contatti umani per sfogarmi, ubriacarmi, fare delle zingarate".

In questo modo non risolvi però il problema di fondo...

"Almeno supero la malinconia. Vedi, io ho lasciato gli affetti di casa molto presto, per il calcio. Mi sono sposato giovanissimo, ma il matrimonio è fallito quasi subito. Sento la mancanza di qualcosa di profondo, dentro di me".

- Ma nello stesso tempo non hai voglia di cercarlo.

"È vero che amo la mia libertà, ora più che mai".

- Cos'è dunque la vita, per te?

"Immagina una scala, e per ogni scalino una tappa su cui soffermarsi, per vivere quel particolare momento".

- Carpe diem...

"Sì, vivo alla giornata, cogliendo la felicità dell'attimo, senza pensare troppo al domani, affrontando con lo spirito adatto ogni perché".

- Si comincia a comporre più chiaramente il personaggio Marangon, per quanto dei dubbi rimangano: qual è quello vero?

"Questo che ti parla! Non è facile scoprirlo perché ho molte maschere, ma è il mondo stesso che me le impone. Se incontro dei tifosi quando sono triste, per non deluderli mi dimostro allegro e spensierato. In quei momenti però arrivo a odiare il mio stesso personaggio…"

- Cosa provi, nei confronti della tua professione?

"Lo sport, di regola, è divertimento e distrazione dai problemi di tutti i giorni. lo amo questo Iato del calcio, mentre disprezzo quel mondo estraneo che gli ruota intorno".

- È molto facile parlare sapendo che non rischi nulla.

"lo ho pagato moltissimo ogni dichiarazione, ogni gesto. Se avessi accettato certi compromessi, o meglio se non avessi affrontato a viso aperto questo mondo, avrei ottenuto il triplo".

- È una recriminazione o un rimpianto?

"Volevo solo dirti che per me l'amicizia è più importante dell'interesse. Se finora ho ricevuto poco in cambio, non ha importanza: sono contento di essere come sono".

- Eppure ho l'impressione che tu sia furbissimo...

"Sono buono ma non ingenuo. La bontà è comunque più forte della furbizia".

- In campo non sembreresti così: appari molto irascibile.

"Pensa che in certi momenti, durante la partita, vorrei che il gioco si fermasse per poter discutere, parlare di quello che è successo. È chiaro che questo è impossibile e che i miei gesti vengono interpretati male, ma in me non c'è cattiveria, non conosco il rancore né il desiderio di vendetta" .

- Neanche verso la tua ex- moglie?

"Nonostante mi abbia piuttosto deluso, l'aiuterò sempre, perché mi ha dato uno scopo per cui vivere, mia figlia Beatrice".

- Non è stata una tappa sbagliata, una paternità precoce?

"Essere padre è stupendo, è una sensazione troppo bella perché possa essere spiegata. L'unico rammarico è che a causa del mio lavoro non posso seguirla quanto vorrei, e ogni distacco da lei è per me dolorosissimo".

- Dal play-boy delle prime righe, adesso siamo passati al padre premuroso, al ragazzo sensibile: non sarà un'altra delle tue numerose maschere?

"Quando ho la possibilità di aprirmi senza fingere, lo faccio".

Avrà mai letto Pirandello? I suoi scritti gli calzerebbero a pennello: l'uomo ha mille volti, e nemmeno uno... Perché questo in fondo è Marangon: uno, nessuno e centomila.