Dal "Guerin Sportivo" n. 2 del 12-18 gennaio 1983 I LEONI D'INVERNO / PIETRO FANNA Lo "scarto" della Juve è esploso nella squadra di Bagnoli contribuendo coi suoi gol alla brillante classifica veronese. Ecco gli amari ricordi di cinque anni bianconeri. Oggi è un protagonista, come aveva previsto Furino. IL CANON DI VERONA di Vladimiro Caminiti VERONA . Un angelo vendicatore indifeso. Ovvero: Pietro Fanna a Torino senza né lodi né encomi, uno dei tanti. Fanna? Mah! A Verona e tornato a correre come nel primo anno bergamasco, trovando in campo le ragioni della vita. Ma allora? Come ha fatto la Juventus a lasciarselo scappare? Si dice, si è scritto: troppo timido, in sostanza un bambino, alla Juve non andava bene. Ci vuole altro. Sono perplesso. Questo del calcio è ormai diventato un mondo mercenario dove succedono cose da pazzi. Secondo i due stranieri della Juventus non è un calcio giusto, questo nostro, dove un Lo Russo azzoppa un Paris, per la brutalità, la mancanza di virtuosismo, i ciechi interessi, la regola crudele dei due punti.Ma io mi chiedo: queste leggi sono eterne nel calcio? Fanna non sta segnando gol d'oro in questo calcio respinto da Platini e Boniek? JUVE. Mettiamo Pietro Fanna all'occhiello della giacca. Anzi, andiamogli a dare una sbirciatina meno convenzionale del solito, per non sentire le frasi virgolettate che lor signori sono abituati a ripetere ai giornalisti. Facciamoci innanzitutto spiegare da lui, presente la sua Laura, che sta per fargli il dono più prezioso, chi è e come mai alla Juve ha fatto cilecca dopo tanta inutile fatica. I capelli se ne vanno via precocemente. Negli occhi azzurri e beati c'è un'anima furlana di ragazzo che crede all'ideale, i pini svettano nei cieli azzurri, le rondini annunziano la primavera, Verona ha riportato la gioia nel cuore del ragazzo timido da apparire Irresoluto, ma in realtà semplice e pulito. Il ragazzo ha vissuto nella Juventus cinque anni amari. Senza colpa di nessuno, e certamente senza colpa di Trapattoni, che pure non è mai riuscito a farsi capire, sono stati cinque anni inutili. |
Uno dei due gol segnati da Fanna al San Paolo, che permettono all'Hellas di mantenersi ad un solo punto dalla Roma. |
- E così Pietro? "Diciamo che è così. lo sentivo la sfiducia dall'altra parte. È chiaro che lui, trovandosi con quindici campioni, aveva difficoltà ad accontentarmi, non poteva accontentare tutti. Mi ha insegnato tante cose in cinque anni, non lo nego... Il primo anno è stato abbastanza buono con me. Man mano il rapporto si è guastato. Dal punto di vista umano mi ha dato molto dispiacere... Sì, non ho visto una grande comprensione da parte sua verso di me; non ci siamo capiti e forse qualche volta ha fatto finta di non capirmi". ANTIPERSONAGGIO. Trapattoni liquidato, con dolcezza se vogliamo, ma liquidato. Dal punto di vista del giocatore, quando l'allenatore non ti fa giocare ti vuol male. Dal punto di vista dell'allenatore, la situazione è diversa. lo che ho vissuto, seppure da cronista, i cinque anni di Fanna alla Juve, dico che soprattutto da parte di Fanna c'è stata una lentezza a mettersi in azione, ad entrare psicologicamente nel respiro del gruppo. Quasi che egli prediliga atmosfere rarefatte, quasi che ami andarsene via in punta di piedi. Più antipersonaggio di così si muore. Un eterno calciatore-bambino, un pupazzo armato a molla per il calcio da giocare domenicalmente, con tutto al posto giusto, ma, alla resa dei conti, una vulnerabilità ai fattori esterni eccessiva. E la Juve è un ambiente di campioni. E quindici campioni non possono giocare tutti. E in quei cinque anni Fanna, nella Juve, giocò 101 partite segnando 13 gol, soltanto in campionato, per non parlar di coppe varie, ma le ha giocate col mugugno, nell'altalena delle imprecazioni altrui e dei sospiri suoi, quasi un oggetto misterioso, a parte qualche momento di grande personalità sia in campionato che in coppa (ad esempio nella partita di Bruges). È l'epoca dei Damiani. È l'epoca di calciatori interi, globali, godibili, come Bettega o Platini. Il calcio giocato dura sette giorni su sette. Nel settimo si consuma il pasto per pochi intimi. Negli altri sei giorni si parla, si discute. Sul giornale. Il calciatore si riduce a virgoletta parlante. I suoi sentimenti non contano. È un idolo consumistico. A Torino, Fanna lamentava di non essere capito dai giornalisti. Non aveva la favella per combattere i soliti eroi. In campo alternava buone prestazioni ad abbattimenti solenni. Come poteva confermarlo Trapattoni? Fanna è un puro. Uno degli ultimi puri integrali rimasti sulla scena. Con giocatori tutti come lui non esisterebbe divismo, questo è sicuro. Ma il giornalismo non potrebbe fabbricare le sue fortune di vendita. Fanna non ha mai fatto polemica in cinque anni a Torino. Trapattoni gli preferiva tutti. I capelli al ragazzo cominciarono a cadere sedendo col cuore grosso in panchina. Soltanto con noi si è lasciato andare dicendo tutta la verità: "Forse ha fatto, qualche volta, finta di non capirmi". Fanna non è un giocatore come gli altri, questa frase deve pesare ad un galantuomo come il Trap. DIVERSO. Perché non è un giocatore come gli altri? È stato allenato da un papà assolutamente portentoso quanto a questo. Succedeva tutto a Clodig, un paesino di 200 abitanti vicino al confine jugoslavo. Rino, il papà, vi si era trasferito per aprirvi una trattoria e, nel tempo libero, si occupava personalmente di preparare alla vita, cioè al mestiere di calciatore, il suo figliolo, obbligandolo a palleggiare in corsa sull'unica salita del paese. Questo, tutti i giorni. Anzi, tutte le mattine. Un'ora di palleggio in salita col padre a sgolarsi. In quell'arrancare sudato palla al piede, Pietro imparò il calcio e tante cose. Imparò anche ad obbedire. A non sentirsi divo. A sentirsi tornante. È infatti lui l'erede, in terra mare e cielo, di Bruno Conti l'asso di Nettuno, Pietro Fanna di Clodig. O pensate di no? "Bagnoli umanamente è eccezionale. È tutto il contrario di Trapattoni. Ti guarda negli occhi e ti dà fiducia. Tu ti senti subito di ricambiare una persona così, perché la senti sincera. Ma io non voglio fare paragoni con nessuno. Una cosa è allenare il Verona, un'altra la Juventus. E non voglio sciupare i cinque anni che ho vissuto a Torino e che mi hanno insegnato tanto. Non avevo vent'anni quando ci sono arrivato. Era il campionato 1977-78... Forse ho sbagliato anch'io... Ma quello che mi dispiace è che non mi sia stato dato il tempo per affermarmi... Tempo vero, dico, in tutti i sensi... Ma non parliamone più... Ora sono a Verona…" E Laura gli sta facendo il dono più bello. Pietro e Laura Fanna formano un quadretto singolare. È chiaro che questa brunetta riassume tutta la sua vita nel suo uomo. Se lo ritaglia tutti i giorni in uno dei tanti album dove ne ha racchiuso la carriera. Sono uno degno dell'altra. Un'incantevole semplicità, un'autentica poesia dei sentimenti si respira in casa Fanna. BERGAMO. "Qualche volta mi è mancata, questo lo so, la rabbia, la cattiveria. Ma uno è fatto in un modo, un altro in un modo diverso. lo non so essere falso. Non so fingere. Sono preciso a lui, a mio padre... che male c'è a dirlo? Ora sono tornato a respirare l'aria delle mie origini... La mia prima squadra fu provinciale, a Bergamo, ricorda? Vi ho esordito in B, vi ho passato giorni bellissimi, mi paragonarono a Rivera, subito mi prese la Juventus... che ha bravissimi dirigenti, Boniperti, Giuliano... Qui a Verona mi sono arredato la casa con i mobili che il nonno aveva lasciato a papà e che papà ha lasciato a me… Il passato lo sto dimenticando. Non è stato facile. Il Verona è una forte squadra, lo sta dimostrando. Ed io sto dimostrando quello che non sono riuscito a provare in cinque anni a Torino". Giustissimo. Una carriera è rifiorita nell’ambiente giusto. Laura e Pietro Fanna si sono dati una mano a vicenda. Alla fine ha vinto l’Amore. Con la "a" maiuscola si può scrivere. Senza pensare che tutto sia "Grand'Hotel" deve dire che tanto è "Grand Hotel" cioè semplicità di rapporti, simbiosi, stima che rafforza un amore. Che c'è di più bello di due che si vogliono bene. Quale dono è più divino dell’amore? Un piccolo caparbio capitano, che è la misura dei progressi reali del calcio sotto l’aspetto professionale, si schiera sempre dalla parte di Fanna nei cinque anni bianconeri: Furino. Mi ripeteva: "È il più forte. Sa giocare a tutto campo bene in ogni ruolo. È un ragazzo serio e buono. Ha tutto per sfondare". ALA. Oggi Pietro Fanna è anche un po' troppo spelacchiato per i suoi ventiquattro anni. Un cancro, 23 giugno 1958. Il tempo libero, oltre che con Laura, lo impiega a coltivare i ricordi del papà, ospite della mamma Marta, oppure con la nonna Orsola o con la sorella maggiore Donatella, che lavora in banca, nonché con le due sorelline Rita di 12 e Cinzia di 9. È lui, oggi, l'idolo della famiglia. Il simbolo di una affermazione sociale che ha del portentoso. Come il modo di giocare di quest'angelo vendicatore indifeso. Portentoso il suo scatto aggirante. Come il suo palleggio sobrio, senza ammanchi. Non c'è nulla di artefatto nel suo stile. È di una spontaneità che talvolta sorprende il più ringhioso dei rivali. Laura non si è innamorata di un calciatore qualunque, ma di uno che in campo viene e porta antiche cose, il senso euclideo dell'ala che sa far gol e soprattutto far sognare la gente. Con un lancio da parte a parte, con un tiro al volo di incredibile potenza, con un aereo colpo di tacco. |