Dal "Guerin Sportivo" del 10 - 16 novembre 1982

 

DOSSIER TRIVENETO / LA SQUADRA DEL GIORNO

Grazie a Osvaldo Bagnoli e a un sorprendente primato in classifica fianco a fianco con la Roma, un'intera città ha scoperto nell'entusiasmo del calcio la terapia più efficace per il dramma dei tossicodipendenti

VERONA ANTIDROGA

di Claudio Sabattini

VERONA. Certamente in questa città (ricca economicamente oltre la media nazionale e in una dimensione principalmente industriale con conseguente record italiano delle esportazioni: primati nella termotecnica, nella meccanica, grafica, marmo, vino e calzature; inoltre in posizione di preminenza in quella alimentare, chimica- farmaceutica, tessile e del mobile) ecco, in questa Verona che caparbiamente tenta di mantenersi e riconoscersi in solide tradizioni cattoliche seppure filtrate e codificate attraverso disinvolte esperienze storiche (dalla Serenissima a Napoleone, dal Regio Governo Imperiale in giù e altre ancora) il calcio rappresenta una specie di palliativo terapeutico dai contorni robusti (per la trasferta di Udine vi è stata, secondo il centro coordinamento dei club gialloblù, una migrazione di otto mila tifosi che hanno monopolizzato 45 pullman e perfino un treno speciale) capace di ammortizzare - in questa trionfale cavalcata iniziale impreziosita da cinque vittorie consecutive, appena diluita dal pareggio di Udine eppoi riesplosa di nuovo ad Ascoli - il preoccupante aspetto di una realtà sociale inquinata dal grossissimo problema di droga e malavita: grazie a Bagnoli, infatti, la città di Giulietta Capuleti riassapora romantiche atmosfere che hanno finito per stemprare, seppure domenicalmente, un fenomeno endemico di eroina e tossicodipendenti, sequestri e Brigate Rosse. In altre parole, il Bentegodi ha preso il posto di Piazza Bra (secondo il comitato civico antidroga, lo storico rondò è diventato una specie di centrale europea per lo spaccio di sostanze stupefacenti), sui muri fioriscono graffiti del tipo "Il calcio è la droga delle persone sane" e i gol di Penzo hanno cancellato il ricordo del generale americano Dozier anche se l'ultimo sequestro, quello dell'industriale Angelo Pisoni liberato dai carabinieri a Sommacampagna dove era custodito dai calabresi, risale appena allo scorso ottobre. E mentre Dirceu fa pendant con Spadolini sulla prima pagina de "L'Arena", nell'antico ristorante Liston e nelle nostalgiche patisserie (ma qui preferiscono l'austrungarico "konditorei") anche le signore parlano disinvoltamente di zona e pressing male- dicendo ancora l'arbitro Pieri per il rigore concesso alla Roma a tempo scaduto alla seconda di campionato e si specchiano con quieta soddisfazione provinciale nella delusione e nei problemi di famose squadre metropolitane messe diligentemente in fila, almeno per ora, dai sorprendenti veneti.

PROGETTI. Grazie, dunque, al presidente Tino Guidotti (mantovano di San Benedetto Po, rappresentante dell'Innocenti-Leyland, sposato due figli, uno velista e l'altro terzino che tenta la carta del professionismo nel modesto Ospitaletto di C/2, ma ha già assaporato la Serie A con il Verona di Chiappella nel 1978- '79, l'anno della retrocessione) il calcio veronese ha lustrato la sua fisionomia da gregario e per una volta tanto si diverte a guardare dall'alto i suoi avversari. E con la forza delle faccende di massa è arrivato perfino a Palazzo Barbieri proponendo contemporaneamente speranze e problemi, le prime come logiche conseguenze dei secondi e viceversa. Così, oggi, l'assessore socialista Finzi si addentra già nella Verona sportiva del futuro ma partorita dal Verona Calcio di oggi. "I successi in campionato hanno agito da detonatore - ha precisato in una recente conferenza stampa - e oggi possiamo concretamente parlare di una città dei giovani sottratti alla tentazione di bucarsi e alla noia. Sarà la Verona alternativa degli spazi verdi, ma soprattutto del tempo libero e di uno sport che aiuta i giovani e può cambiare una nostra immagine velata da troppe recenti tragedie e ombre". Traducendo in termini concreti il progetto dell'assessore, domani Verona avrà quindi nuove infrastrutture sportive: accanto allo stadio, cioè, verrà costruito un modernissimo Palazzetto dello sport (costo di sei miliardi di lire a totale bilancio comunale, rifiniture di lusso, 6.500 posti, ottimo per basket e pallavolo, ma anche per incontri di pugilato, torneo di tennis e concerti rock) i cui progetti definitivi saranno pronti entro il prossimo gennaio mentre i tempi per la costruzione si allungano di ulteriori dodici mesi. E sulla sua scia arriveranno pure altre attrezzature sportive e urbanistiche che finalmente daranno una propria fisionomia a un milione di metri quadri fino ad oggi vincolati a verde (grosso modo, l'area è compresa tra la circonvallazione e la linea ferroviaria Verona-Milano) e il risultato finale dovrebbe essere una specie di Prater viennese che a sua volta innescherà altri progetti corollari: la costruzione di 400 nuovi appartamenti nel quadro dell'edilizia economica popolare (un aspetto, questo, addirittura inesistente se inserito nel tragico contesto nazionale), lo spostamento dell'arteria Nord-Sud dal centro del futuro parco fino a sfiorare lo stadio, il Palazzetto e la stazione ferroviaria di Porta Nuova (incrociando cosi lo svincolo dell'autostrada del Brennero) eppoi nuovi terminal per tutti i servizi urbani ed extraurbani. In definitiva, quindi, questo Prater veronese (sui quaranta miliardi il bilancio preventivo da acquisire, secondo l'assessore Finzi) nascerà grazie a una serie di convenzioni con grosse ditte private che costruiranno gli impianti nel rispetto di un parco libero a tutti e senza club privati, ma soprattutto è il riconoscimento di un'intera città a un magico momento calcistico che in veste di efficace "persuasore occulto" ha dato vigore sportivo perfino a un consiglio comunale in fase di stallo - su questo progetto - fin dal 1980. Per similitudine con Primo Levi (premiato lo scorso ottobre nel Palazzo dei Congressi, a Sirmione, con il "Premio Catullo") se non ora, quando?

PROBLEMI. L'entusiasmo di Verona per il primato in classifica generale assieme alla Roma, non riesce comunque ad annullare completamente i condizionamenti dei suoi problemi. E quindi, Sboarina e Segato (rispettivamente sindaco e vicesindaco, il primo democristiano e il secondo socialista ma entrambi "ultras" gialloblù) il lunedì mettono da parte il tifo e l'entusiasmo per Penzo e Dirceu e iniziano - ogni settimana di nuovo - la loro battaglia contro la tragedia della droga. È una guerra questa, che ricorda vagamente la tela di Penelope: il Comune ha dato vita in forma ufficiale a un Comitato antidroga, gli organi di polizia effettuano arresti e i magistrati emettono condanne (il 10 ottobre scorso sono stati catturati dieci spacciatori e le Indagini hanno dato contorni a un traffico di stupefacenti che copriva tutta l'Italia settentrionale con grosse "succursali" a Milano, Forlì, Cesena e Cesenatico) ma il dramma si interrompe per brevissimi intervalli poi riprende ed è mantenuto a livelli incredibili da una centrale compresa tra Bussolengo e Sommacampagna e viene organizzato dai numerosi calabresi in soggiorno obbligato. Il tutto si basa su supposizioni (qualche mese fa un redattore dell'Arena venne minacciato per avere fatto nome e cognome dei trafficanti e dovette fuggire temporaneamente in Germania impiegato in inchieste meno pericolose) che si tingono, però anche di "paternità" politiche. Sussurri e illazioni, dunque, ma tuttavia confermate dalla certezza di un dramma fatto di siringhe ed eroina, di morte e anche di miliardi e tutto questo Verona l'ha più volte avallato in disperati manifesti pubblici e ordini del giorno per le sedute comunali e regionali. Altri problemi invece hanno dimensioni più modeste (scarichi abusivi nel Fibbio, stipule di fidejussione con le banche per trovare mutui per l'Ente lirico e perfino una curiosa protesta-proposta per salvaguardare la casa di Giulietta da migliaia di scritte murali: istituire un biglietto di ingresso di 1000 lire che permetterebbe lo stipendio a un guardiano; altri ancora sono unicamente beghe di partito (la federazione comunista veronese ha sospeso per sei mesi il senatore Adelio Albarello "per avere organizzato, mediante la rivista Interstampa un gruppo di opposizione alla linea di Enrico Berlinguer" ) mentre invece appare di difficile soluzione la vertenza delle Officine Adige, fino a ieri un "fiore all'occhiello" dell'industria veronese e ora con un calo produttivo di circa il 40%: tutto ruota attorno ad una richiesta di cassa integrazione speciale per 250 dipendenti (su un totale di 490) che fino a ieri pareva la soluzione ideale ma oggi registra, al contrario, una brusca rottura delle trattative tra il comitato di ' fabbrica e l'Associazione industriali.

LA SQUADRA. Questo contesto sociale, quindi, è il tessuto in cui oggi si muove la sorprendente squadra di Osvaldo Dagnoli. Quella, cioè, che ha le sue radici nel lontano campionato 1978-79 (quando Ga- ronzi abdicò formalmente alla cinquina presidenziale formata da Giuseppe Drizzi, Tino Guidotti, Franco Di Lupo, Gianni Giglio e Paolo Vicentini) ed ha iniziato a darsi la fisionomia attuale, passando con alterne fortune di uomini e risultati, attraverso tre anni di Serie D e il cambio di numerosi allenatori: nel 1979 retrocede con Chiappella (che aveva sostituito all'ottava giornata Mascalaito) e nell'80 si classifica al 13° posto sotto la guida di Veneranda. Sempre nell'estate di quell'anno la presidenza registra un curioso "golpe" che vede Drizzi dimettersi (in realtà non era stato nient'altro che un uomo di paglia di Garonzi) mentre l'ex presidente viene liquidato con circa un miliardo (più o meno la stessa cifra che era stata pagata da Garonzi per il suo riscatto) poi a ruota vengono anche le dimissioni di Giglio - motivato nell'avventura presidenziale dal figlio calciatore, attualmente a Varese - e la presidenza resta un gioco a due tra Guidotti e Di Lupo che assumono Giancarlo Cadé e l'allenatore seppure con affanno, riesce a mantenere la squadra in serie B con 34 punti. Ma ormai il Verona ha assorbito la mentalità vincente di Guidotti e rifiuta le avventure e gli affanni. Per la stagione 1981-82 si fanno le cose in grande stile: arriva Dagnoli (le sue credenziali parlano di un Fano promosso in C, di un Rimini portato in D e di un Cesena lanciato in Serie A), che accetta la proposta veronese per motivi principalmente familiari: a Verona, infatti, sua figlia può frequentare il "Procolo", l'unico istituto italiano specializzato per ciechi. Per di più assieme a lui arriva pure Emiliano Mascetti (miglior allievo al corso di Coverciano per la sezione general manager) ed ecco la volata finale che porta la squadra in Serie A con 48 punti, uno in più dell'accoppiata formata da Pisa e Sampdoria. Poi, all'inizio della stagione in corso si formalizza anche la presidenza che vede Franco Di Lupo (pisano, un figlio calciatore nel ruolo di portiere ed attualmente dato in prestito al Conegliano, titolare di un Import-export di frutta) insediato con pieni poteri nel ruolo di vice presidente tecnico mentre la vice presidenza amministrativa va a D'Agostino (leccese e big della ristorazione, compreso il self-service della stazione). Infine, l'attuale quaterna dirigenziale si completa col consigliere Paolo Vicentini (rappresentante veronese per la Volkswagen è il fratello di Flaviano Vicentini, l'ex-campione mondiale dilettanti di ciclismo). In altri termini, questo Verona attorno a cui si è stretta e si è identificata un'intera città, non parla veronese neppure per sbaglio: quando Garonzi diede vita alla "presidenza ombra" di Brizzi si fecero nomi importanti del calibro di Sanson (gelati), Tacchella (Jeans Carrera, la terza industria del settore in Europa con filiali perfino in Russia) e Grigolini (Pollo Arena), ma poi alle chiacchiere non fecero seguito fatti concreti.

L 'INTERVISTA. Di Tino Guidotti si è sempre detto che è un antipersonaggio, mai un gesto fuori misura oppure una polemica. Una specie, cioè, di gigante buono esperto in briscola e tressette e con un passato niente male di sprinter attorno agli Anni 1938-1939. Poi l'atletica leggera ha lasciato il posto al calcio e al Verona in particolare... "Il mio arrivo al Verona è una specie di storia da libro "Cuore": mio figlio Sergio giocava nella primavera gialloblù, io andavo regolarmente ai suoi allenamenti e una sera incontro Giglio, anche lui con il figlio calciatore. Così si parla del Verona, di Garonzi che vuole lasciare tutto e prende consistenza l'idea di fare qualcosa di concreto. Insomma, decido di tentare l'avventura".

- Gli Inizi, però furono tribolati da liti, in comprensioni e magari anche qualche rimpianto...

"Di rimpianti ne ho avuti a volontà: le contestazioni dei tifosi, la mancata promozione in Serie A con Veneranda e quindi la paura della Serie C con Cadé. Poi nel marzo del 1980 un po' di pace e l'anno dopo la promozione in Serie A".

- Dicono che lei è diventato presidente per aiutare suo figlio...

"Non nego che all'inizio, una mezza idea in proposito ce l'avevo. Ma poi ho capito che la cosa non avrebbe funzionato, lì mio figlio mi ha aiutato accettando di tentare l'avventura calcistica con l'Ospitaletto. Per quanto riguarda, invece, la carica di presidente tutto è nato nella primavera del 1980, in una serata tra amici: Di Lupo, D'Agostino e Vicentini mi nominarono sul campo e quella che durante la serata era scherzo, alla mattina divenne realtà. Ecco, quella notte nacque il Verona dei quattro presidenti, tutti alla pari seppure con cariche diverse".

- Al contrario di tanti altri, Guidotti è ancora un presidente sconosciuto, una specie di antidivo e di uomo qualunque che rifiuta le etichette luccicanti...

"Diciamo piuttosto che io mi sono formato alla scuola di vita dell'ultima guerra e specialmente dei tempi duri che la seguirono. Vede, io arrivai a Verona nel 1933, avevo dieci anni e feci tutta la trama scolastica: elementari, medie, poi magistrali e infine l'Università ad Urbino. A questo punto, però, cominciarono i primi problemi e la necessità di trovare un lavoro. Erano tempi duri, in famiglia si tirava la cinghia e io prima feci l' impiegato ai magazzini generali, poi quando scoppiò la guerra passai alla motorizzazione per evitare, come dipendente di un ministero, la chiamata alle armi. Ormai l'università era soltanto un ricordo, dalla motorizzazione passai in un 'agenzia di pratiche automobilistiche e ora sono diventato un concessionario d'auto. Ma il rimpianto per i sei esami che mi mancano alla laurea lo sento ancora oggi".

- Rimpianti a parte, lei adesso è un uomo di successo: si è abituato al primo posto in classifica?

"Abituato no, diciamo che sono lusingato ma sono il primo che non si fa illusioni. Mica siamo la Juventus o la Roma...".

- Nei vostri programmi, però, vi sono anche i premi-partita per il vertice della classifica...

"Mi creda, tutta questa storia è soltanto un lusinghiero equivoco. All'inizio di campionato, forse per scaramanzia, abbiamo fissato i premi considerando anche la posizione dal primo al terzo posto e adesso paghiamo volentieri".

 

IN DEFINITIVA ecco che questo Verona al vertice della Serie A per la prima volta dalla sua fondazione (tra pochi mesi, saranno ottanta anni tondi) rispecchia perfettamente la concretezza e il carattere di una città che lotta quotidianamente con grossi problemi. Ma questa specie di lotta continua non è Il frutto di una rassegnazione, piuttosto si identifica con volontà e orgoglio. E così mentre in Regione ci si trova alle prese con un'abbondanza di aeroporti (la giunta stava legiferando per quelli di Venezia e Verona ma improvvisamente sono entrati in gioco anche Padova e Treviso) e un gettito di oltre un miliardo di lire come proventi delle contravvenzioni fatte nel 1982, ecco il controcanto di un Verona Calcio improvvisa- mente coinvolto in un'abbondanza di uomini (Zmuda, ad esempio, è ancora tutto da scoprire) e di punti che lo ha lanciato in orbita. Come dire, a Verona non sempre i sogni muoiono all'alba. E finora neppure alla domenica pomeriggio.